C'era una volta il Piano Duca (da Piazza a Ombelico del mondo)

Piano Duca - Misterbianco“La piazza è mia! La piazza è mia!” non è solo la stravagante espressione del “povero Saverino”, che percorre, come un sottofondo musicale, l’intero film “Nuovo Cinema Paradiso”. No! “La piazza è mia!” è un anelito di speranza, un grido di lotta, un manifesto politico, una dichiarazione d’amore per la nostra e per tutte le piazze del mondo. “La piazza è mia” esprime l’appartenenza di un bene pubblico come bene di tutti, la volontà irrinunciabile di custodire un bene collettivo, la “presa in carico” di un patrimonio comune come patrimonio di ogni singolo cittadino, la necessità di salvaguardarlo e di trasmetterlo, tutt’intero, alle future generazioni, come fosse proprio. Ognuno di noi deve sentirsi “responsabile della bellezza” della propria città. Questo è il senso di questa storia di ricordi, d’emozioni e d’architettura.

Nella seconda metà degli anni ‘70 il Piano Duca cambia nome e “diventa” Piazza Dante, anche se per tutti i misterbianchesi sarà sempre ‘u Chianu Duca. Nel 1978 la Giunta Municipale guidata dal sindaco comunista Tullio Pecora decise, con delibera n. 260, del 7 novembre 1978 di incaricare l’ing. Pappalardo Salvatore (di Gravina) di progettare “Per idonea sistemazione spazio pubblico piazze interne abitato”, comprendendo Piazza Dante, Mazzini, S. Giuseppe e via Gramsci (tratto via Garibaldi, via Vespri); la delibera verrà poi “integrata e confermata” il 27 marzo 1979, a seguito di alcuni rilievi amministrativi sollevati dalla C.P.C. (Commissione Provinciale di Controllo, l’allora organo di controllo degli atti degli Enti Locali). Intanto, si avvicinavano le elezioni comunali. E nella competizione elettorale del giugno 1980, per la prima volta nella storia di Misterbianco, dopo oltre trent’anni, i comunisti venivano estromessi dall’area del potere cittadino. Le elezioni decretarono la sconfitta “storica” della coalizione PCI-PSI e la vittoria della Democrazia Cristiana, segnando una svolta “epocale” nel governo della città. La DC insieme al Partito Socialista formarono una nuova maggioranza di centro-sinistra, con a capo il sindaco socialista Nunzio Giardinaro. E tra i primi atti che intraprese la nuova giunta vi fu la “sistemazione” di piazza Dante.

Sul Piano Duca entrarono in azione, per la prima volta (ci saranno tante altre volte!), le ruspe, e le “mattonelle pendenti” sparirono per sempre. La piazza cambiò volto: vennero realizzati quattro spicchi laterali con verde e piante a basso fusto, un’aiuola centrale con in mezzo una quercia, e tutt’intorno dei sedili in ferro battuto. Il Piano Duca era diventato un’anonima piazza cittadina, per rilassarsi d’inverno e prendere l’ombra d’estate, buona per fare quattro passi e per fugaci incontri. Certo, non era più il nostro regno, non sarebbe stato più il “campo dei miracoli” dei ragazzi del paese, né avrebbe più potuto “assolvere” alla sua “naturale vocazione allo svago e al divertimento”. Ma il peggio doveva ancora venire! Contemporaneamente all’intervento pubblico sulla piazza, venne ricostruito, nello stesso luogo (angolo sud-est), un nuovo chiosco, con un’imponente struttura muraria in cemento armato e muratura, e con un grande “laboratorio” sotterraneo, cioè sotto il livello della costruzione soprelevata, addirittura alcuni metri più ampia della struttura sovrastante. Ma la cosa più grave era un’altra! Man mano che i lavori della piazza avanzavano ci accorgemmo che l’intera area aveva “assunto” un innaturale ed esagerato dislivello, che il piano non aveva mai avuto, da nord-ovest a sud-est. E il tutto, presumo,… per consentire una maggiore stabilità e un migliore deflusso delle acque piovane in funzione dell’angolo del chiosco! Come dire,… la piazza in funzione del chiosco, il pubblico in funzione del privato, e non il contrario, com’era giusto fare, come invece doveva essere fatta! Cose dell’altro mondo,… cose di Misterbianco! Da lì, da quel punto, da quell’anno, iniziarono gli “anni bui” della piazza, e dell’intera città.

Il Piano Duca perse definitivamente la sua ragion d’essere, la sua identità, il suo “ruolo sociale”, all’inizio fu luogo di ritrovo per famiglie, giovani, anziani, ma pian piano divenne di fatto “inutilizzabile”, e nelle sere si animava di gente poco raccomandabile, divenne il “punto di raccolta” di malavitosi, di spacciatori e di tossicodipendenti. Divenne così un luogo pericoloso, una zona off-limits per tutti, giovani e adulti, spesso soggetta a improvvisi controlli dalle forze dell’ordine, soprattutto nelle ore notturne. “I nostri genitori cercavano in tutti i modi di impedirci di frequentarlo, ma inutilmente, era sempre e comunque, “luogo di ritrovo e di divertimento” per i giovani misterbianchesi, nel ricordo del bel tempo che fu”. Così descrive il Piano Duca una giovane misterbianchese degli anni ‘90. E siamo agli anni ‘90. Anni difficili e decisivi per la storia di Misterbianco. Dopo lo scioglimento per mafia del Consiglio Comunale, avvenuto nel dicembre del 1991, in seguito all’uccisione del segretario politico della Democrazia Cristiana locale, Paolo Arena, da piazza Dante iniziò l’azione di riscatto e di rinascita della “nuova Misterbianco”. Da un “giovane del Piano Duca”, infatti, venne concepito, realizzato e pubblicato, con sofferenza e determinazione, il manifesto politico-culturale “Mai più come prima”, dando origine all’indignazione e alla protesta della città ed alla “nascita” della società civile. Poi, nel 1992, il Piano Duca fu teatro di uno degli avvenimenti più drammatici e violenti della storia della città. La domenica sera del 16 febbraio 1992 un commando mafioso, travestito da carabinieri, rapì il giovane misterbianchese Giuseppe Torre (figlio del boss Pippo Tronu, emigrato a Milano, negli anni ‘70), e, racconteranno in seguito i pentiti, dopo inenarrabili torture venne barbaramente ucciso, “bruciato vivo dentro una catasta di copertoni”.

La misura era colma! La città voleva reagire, voleva cambiare! E in seguito a quel tragico episodio, l’intera città trovò il coraggio e la forza di ribellarsi e di far sentire finalmente la voce della protesta e dell’indignazione. Nacque così un comitato cittadino, il “Movimento Liberi Cittadini”, promosso dal parroco della Chiesa Madre, sac. Giovanni Condorelli, con un iniziale “comitato ristretto”, formato da alcuni giovani, Antonio Biuso, Agata Coppola, Anna Maria La Mela, Mimmo Santonocito, dal preside Natale Motta, e poi via via da molti concittadini, Angelino Nicotra e Giuseppe Motta (miei amici), Mario Iraci, Margherita Privitera, Alfredo Cavallaro, Pippo Cannata, e tanti altri, da giornalisti (Rosa Maria Di Natale, Alfio Sciacca), intellettuali, politici (Nino Di Guardo, Pippo Longo), da alcuni membri delle comunità parrocchiali, che decise di fare sentire la voce della “Misterbianco onesta”. Così la sera di sabato 22 febbraio, dopo un’affollatissima Messa in Chiesa Madre, si diede vita ad “una marcia verso Piazza Dante”, un imponente corteo (sicuramente il più grande raduno della storia di Misterbianco), che iniziava dal sagrato della Matrice (piazza Giovanni XXIII), continuava lungo la via Giordano Bruno e Piazza Dante, con una lunga sosta di preghiera per ricordare il luogo del rapimento di Giuseppe, per finire sotto il Poggio Croce. Ricordo un fiume enorme di persone che sembrava non finire mai, in silenzio, senza nessuna bandiera, né vessillo politico, solo la rabbia, l’indignazione e la voglia di ribellarsi e di dire “basta alla violenza!”. Da quell’anno e da quelle tristi vicende tutto cambiò! La città non fu mai più la stessa! Nel 1993, nelle prime votazioni per l’elezione diretta del sindaco, venne eletto Nino Di Guardo, e la città cambiò volto, per sempre! E anche il Piano Duca cambiò aspetto.

Nel 1995, il sindaco Di Guardo pensò bene di “trasformare” la piazza in un ridente Parco Giochi, e fu così che la piazza rinacque a nuova vita, ritrovò, ancora una volta, la sua “naturale vocazione allo svago e al divertimento” per tutti i giovani del paese, e divenne nuovamente frequentata, ogni giorno, da ragazzi, da bambini e dalle loro famiglie, e persino da comitive di straniere che si rinfrancavano dopo un giorno di duro lavoro. Il Piano, per la verità, non cambiò molto dal punto di vista strutturale, le aiuole laterali subirono una considerevole trasformazione, vennero realizzate due ampie aree attrezzate per ospitare giochi per ragazzi, altalene, scivoli, piccoli percorsi natura, nave dei pirati, anche la vecchia quercia (peraltro mai cresciuta), venne sostituita da un promettente alberello d’ulivo, simbolo di pace e di rinascita. Comunque, la “metamorfosi” era avvenuta, la piazza era diventata il centro pulsante della “città dei ragazzi”, e confesso che anch’io, nei lunghissimi pomeriggi d’estate, son ritornato ad essere un “assiduo frequentatore” della “mia piazza”, in compagnia dei miei nipotini, e sovente giocavo con loro e con le loro “monellerie” e col pensiero ritornavo… al tempo della mia spensierata fanciullezza! Ma le generazioni si susseguivano, i giovani crescevano, i ragazzi di una volta diventavano adulti, si “sistemavano”, diventavano professionisti, ingegneri, avvocati, insegnanti, farmacisti, imprenditori. Quei giovani dal Piano s’erano allontanati, un poco, chi per studiare a Pisa, a Milano, chi per lavorare a Brescia, a Roma, ma sempre con il Piano Duca nel cuore. Avevano “preso” nutrimento e vigore da quelle mattonelle pendenti e da quei ficus Benjamina, gli erano “serviti”, e tanto, per farsi strada nella vita, per realizzare i propri progetti, per dare un senso alla loro esistenza, senza mai dimenticare le origini, le radici, passate laggiù o’ Chianu Duca. Ma, si sa, al peggio non c’è mai fine! Dopo oltre un decennio di relativa tranquillità, il Piano Duca “cangia” stile ancora! 2017.

E siamo ai giorni nostri. Alla barbarie dei giorni nostri! E pari ca mi parrava ‘u cori! Un bel mattino di primavera, al posto del nostro Piano Duca,… mi ritrovai un bunker! Uno scatolone incomprensibile, infarcito di cemento armato; un parallelepipedo innaturale, sopraelevato in alcuni punti di oltre un metro d’altezza! E mentre in tutte le città del mondo si parla e si pensa “green”, si cerca di portare “il giardino in città”, si parla di “foreste nei centri storici”, di alberi e verde attrezzato, si parla, addirittura, di “verde trasportabile”, di “tappeti erbosi con le ruote”, di siepi rollanti, il Piano Duca subisce l’umiliazione di due giorni interi di getto di cemento armato, di muri di contenimento di cemento, di scaloni e scalini vari, di barriere architettoniche, di alberi “murati vivi”, di muri in cemento, di nuovi lavori di sbancamento attorno al chiosco, eseguiti dai privati (autorizzati!?). “Nemmeno Italcementi poteva pensare ad una cosa del genere, nell’epoca delle città green dobbiamo sopportare ancora queste oscenità”.

“La cementificazione a dismisura al cospetto di aree verdi è il passaporto di incivile indifferenza, di mente che non interessa per nulla il “vivere meglio”, tuonano alcuni amici su facebook. Forse chi ha progettato ed eseguito l’opera è più avvezzo a tenere goniometri e compassi da geometra, che a sentire il fresco profumo dell’erba tagliata, dei rampicanti abbracciati con le nere pietre della montagna, della rugiada intinta nelle coccinelle del primo mattino! ‘U saccu di ‘zoccu è chinu spanni! Questa è la verità! Ma poi,… il cemento è brutto. Dà una senso di pesantezza, di prevaricazione, di arroganza, di grigiore. Il cemento non ti fa respirare, ti soffoca, non concede spazio, non dà vita. Il cemento marchia a fuoco un luogo, lo segna a vita, è una cicatrice incancellabile, una macchia indelebile. Perché pensare al cemento per infagottare la nostra città!? Perché!? Vorremmo tanto stendere un velo pietoso all’oggi e pensare al domani che verrà! Si! Domani parleremo della Metropolitana che arriverà a Misterbianco, che proprio al Piano Duca, a piazza Dante avrà la “Stazione terminale”! E dal Piano Duca potremo andare, nello spazio di un “fiat”, “più veloci della luce”, all’Aeroporto di Catania e da lì… partire per il mondo intero! Un sogno! Piano Duca, da piazza a… Ombelico del mondo! Chi l’avrebbe mai detto! E tu, Piano Duca, cuore della nostra città, regno della nostra carusanza, ricordaci ancora i giorni felici della nostra sconfinata giovinezza, e guardaci, se puoi, con indulgenza…
(Fine)

Angelo Battiato

 

 

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