Disgregati, confusi e dispersi. Si frantuma nel disincanto populista la babele grillina

M5SC’erano tutti quel giorno del 4 di Settembre 2019 quando col giuramento dei Ministri si imbastiva l’inciucio M5S e PD tra una babele di trattative, strizzatine d’occhio, mamme commosse, presenze di mogli, figli, fidanzate e parenti, e poi con un finale di applausi come in occasione di matrimoni o di funerali.

Un rito che mostrava le sembianze di una figurazione plastica di quel potere “personale” che oggi unisce gli alleati nello sciagurato compromesso di governo e delle convergenze parallele. Probabilmente un’operazione legittimata sul piano costituzionale ma sicuramente trasformistica sul piano politico che ha visto Conte, Di Maio e Ministri andare a seconde nozze con quelli che prima consideravano essere loro nemici, succedendosi a se stessi alla guida di una nave che affonda ed istupidendo con la piattaforma Rousseau le facili assuefazioni grilline, indotte prima in difesa del ministro leghista Salvini per il caso Diciotti e poi anti-Salvini per la conservazione della poltrona nel Palazzo dei bottoni.

Ma già col primo governo Conte s’era mostrata la fotografia delle ambiguità movimentiste di Lega e M5S, unite in un matrimonio di governance innaturale nella quale poi il ministro Salvini si sarebbe fatto promotore di una mozione di sfiducia, ritirata subito dopo per riproporsi pietosamente alleato col M5S fors’anche accontentandosi di uno straspuntino di governo. L’estradizione di Salvini dal governo Conte fu, infatti, il risultato strategico delle variabilità demagogiche di capetti del populismo. Sarà stata forse l’incapacità di analisi per coprire l’ex indifendibile governo gialloverde caduto in disgrazia?..oppure fu un ripensamento del M5S in calata di consensi per scagionarsi dai peccati riducendo l’argomento in complotti di tutti contro il grillismo?.

Il complotto semmai c’è stato. Quello targato grillino, quando dopo gli esiti di voto del 4 Marzo 2018, contrariamente a quanto urlato in campagna elettorale, gli italiani si sono ritrovati governati dal M5S alleato con la coalizione vincente(Forza Italia/Lega/Fratelli d’Italia) disgraziatamente frammentata per una porzione al Governo e per la restante parte ai banchi d’opposizione. Se Salvini è stato il protagonista materiale della disfatta di Governo, questo non esclude le responsabilità di Conte e del capo politico Di Maio che sin da inizio legislatura sono stati complici omertosi dei propri alleati leghisti coi quali avevano predisposto la formazione di un governo della peggiore destra nell’era repubblicana. E le dimissioni di oggi del capo politico del M5S mi convincono che il “dimaioismo” populista ha portato iella al M5S come lo è stato il “renzismo” per il PD. Gli errori si pagano e Di Maio in quella circostanza particolare avrebbe dovuto escludersi per serietà dalla nuova leadership grillina e dal trattare la riformazione del nuovo governo col PD anziché presentarsi ancora con il suo listino dei desideri per agganciarsi a nuovi impasti governativi. Lo impone la morale etica di un vero leader.

Ricorrere ora a sotterfugi per occultare situazioni imbarazzanti di inadeguatezza a governare non è correttezza d’analisi, ma ambizione di potere del Di Maio, di cui gli improvvisati “talent scout” del grillismo ne acclamano su facebook le gesta insensate. Infatti, dopo aver sbandierato l’illusione che col reddito di cittadinanza si sarebbe abolita la povertà, adesso l’unto dal Signore “miracolizza” felicità per le famiglie. Ed è anche disarmante convincerci che sarà sconfitta l’evasione fiscale col debutto del “Tàssati e vinci”, una specie di Lotteria dello scontrino che il neogoverno, speculando sulla ludopatìa degli italiani, sponsorizza con premi settimanali in denaro. Insomma il solito film già visto e che sappiamo com’è finito con la sua governance. La regola morale avrebbe voluto che un leader (prima compratore di consensi con i soldi pubblici del fallimentare reddito di cittadinanza e poi perdente alle europee di vari milioni di voti, responsabile compositore di ambigue alleanze di governo e poi reduce del fallimento governativo già dopo un anno di legislatura) non avrebbe dovuto pretendere di ricongiungere ancora nuove alleanze di governo né di presentarsi agli italiani in veste di babbo Natale con l’ipocrita nota dei suoi 10 regali (raddoppiati poi a 20) di assai dubbia copertura finanziaria. Avrebbe dovuto, invece, cedere subito il passo ad un grillismo governativo più credibile che sapesse confrontarsi seriamente con i partners della politica per gli interessi del popolo italiano, perché non si può pensare che sia sufficiente piantare bandierine, cambiarsi d’abito o di ruolo ministeriale. E questo vale per Di Maio ma anche per Conte, delle cui deficienze specula ora l’ex alleato Salvini per un ritorno alla peggiore destra.

E’ ridicola la trionfale affermazione di Di Maio quando propone di tagliare parlamentari per recuperare risorse da destinare a usi sociali. Ma in tale difficoltà, ridestandosi le vecchie pulsioni anticasta del M5S, il risparmio sarebbe stato più redditizio se invece del taglio di rappresentanti del popolo si fossero ridotti abbondantemente i rimborsi agli eletti in Parlamento, nelle Regioni e nei Comuni piuttosto che togliere spazi di partecipazione democratica e allontanare la società dal Parlamento.

Ho la convinzione che il grillismo sia un movimento (ora proclamatosi Partito) che ha peggiorato i propri adepti trasformandoli in dipendenti indiretti di una Associazione privata Srl che, attraverso l’opacità della Piattaforma Rousseau, controlla le attività e la vita democratica (non quella vera come dovrebbe essere..ma quella magica) in base alla quale si dà all’elettore grillino l’illusione di contare senza dire che la democrazia diretta è diretta soltanto perché viene diretta dalla sospetta figura di qualcun altro decisore, il quale decide senza che il Movimento possa controllare in nessun modo la suddetta Associazione. In realtà, per un Movimento (formato di personaggi eletti per caso) che non ha sede fisica e in cui la vita politica si svolge soprattutto online, l’Associazione della Piattaforma Rousseau è un gioco d’azzardo facilmente manipolabile secondo i reconditi propositi di chi ne detiene il potere del controllo, consentendo in nome d’una falsa democrazia di poter accentrare nei nuovi unti dal popolo il potere dell’agire politico. Infatti anche il tracotante Gigetto, nonostante il dissenso di buona parte della compagine grillina, ha potuto rivendicare dopo la batosta elettorale europea il suo ruolo di capo inneggiando ad un fasullo 80% di consenso costruito appunto dal marchingegno della piattaforma Rousseau.

Oggi, però, conservando la carica di Ministro agli Esteri ma dimissionario da capo politico, lo troviamo intento a fomentare “odiocrazia” contro gli amici di cordata grillina che l’hanno sfiduciato dal suo ruolo di capotavola; e lo fa in maniera caricaturale, inondando i suoi deliri di invettive scorrette e dichiarandosi persino vittima di complotti, di tradimenti e di “pugnalatori” ad opera del proprio entourage d’appartenenza che definisce “serpenti”. Un ragionamento strategico pensato per svicolare dai reali problemi e per fare ancora sconcertante mercanzia di consensi elettorali senza preoccuparsi degli squilibri istituzionali, adattandosi perfettamente a quella pratica di politicantismo alla quale ci ha abituati il M5S in questi anni con slogans di antipolitica militante invece di promuovere riforme davvero utili per affrontare seriamente quella che Berlinguer chiamava “LA QUESTIONE MORALE” della politica, perché corruzione, ingordigia e voltagabbanismo in politica non si sconfiggono col taglio di deputati e non è sicuramente una saggia risposta politica per il lavoro e per la crescita del Paese.

Invece, il folletto Gigino, impagliato dalla sua frenesia di potere ha flirtato a destra o a sinistra, e bussa persino alle porte del qualunquismo per non interrompere la legislatura col timore che nuove elezioni possano sancire il suo completo tramonto. Quello che è certo è che della politica non c’è più nessuna traccia, un po' perchè impera l’ignoranza ed un po' perché da tempo la politica s’è liquefatta ed evaporata nelle stanze ovattate di programmi televisivi, dove demagogia populista e delegittimazione sono diventate arma quotidiana di sopravvivenza per avventurieri senza scrupoli. Infatti, illudendoci con la retorica movimentista, i due dioscuri (Di Maio e Salvini) entrambi generati dallo stesso uovo del populismo ma con due embrioni diversamente fecondati, si riconoscono consanguinei pur cercando di sbranarsi a vicenda non promettendo nulla di nuovo se non il ripetersi di falsi compromessi di una classe politica arroccata a sommare numeri e inventare governi di separati in casa, destabilizzando sempre più ad ogni giorno che passa il nostro Paese.

E adesso, dopo la mazzata degli esiti elettorali della Regione Umbria con la vittoria della coalizione di Destra, si avverte il timore che alle elezioni regionali di Domenica 26 gennaio 2020 in Emilia/Romagna possa ripetersi a vantaggio della Destra un ulteriore segnale di protesta che fotograferebbe in tal caso un popolo stordito dall’abbaglio populista e, purtroppo, disorientato anche dalle vicende di una Sinistra che ha abbandonato le proprie origini per ricopiare il peggiore stile democristiano degli inciuci di governo, un prodotto di laboratorio che al traballante governo-bis di Conte ha associato un PD anch’esso lacerato da abbandoni e scissioni. Penso tutto questo non per fideismo ma perché consapevole che sarebbe stato più razionale andare a nuove elezioni politiche con una Sinistra che tornasse a parlare col proprio linguaggio per recuperare quella fiducia dei tantissimi, i quali in passato s’erano identificati in quella tribù di pensiero contro la quale ora esprimono rancore sentendosi spodestati di quella ricchezza ideologica del “sol de l’avvenir” in cui avevano sempre sperato.

Enzo Arena
24/01/2020

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