Un bianco e nero color sangue. Gli scatti di Roger Hutchings

Nelle foto di "Bosnia" in mostra presso la Galleria Carla Sozzani di Milano, il fotoreporter inglese condensa i cinque lunghi anni di lavoro nella ex Jugoslavia. In mezzo alla guerra.


Forse
questo di
color:windowtext">Roger Hutchings è
davvero il reportage definitivo della guerra e della fragile pace nella ex
Jugoslavia. E tuttavia le immagini di “Bosnia” - la mostra a cura di Grazia
Neri presso la splendida Galleria Carla Sozzani di Milano - non basteranno a
rendere il lustro di sangue e violenze coagulato in quelle regioni balcaniche
martoriate dalla storia. Il cinquantenne fotoreporter britannico (dell’agenzia
inglese Network) è stato col suo obiettivo nei luoghi più caldi e martoriati
della terra: dallo Sri Lanka al Sudan sconvolto dalla guerra civile,
dall’India e dal Bangladesh distrutte dall’avvelenamento da arsenico al
tormentato Kurdistan - ottenendo prestigiosi riconoscimenti tra i quali spicca,
nel 1994, quello assegnatogli da Amnesty International. “
Ho reso il miei
cinque anni di lavoro in Bosnia - ha detto Hutchings - una crociata morale,
ritrovandomi portavoce indignato, avvolto in un soprabito intessuto di virtù, e
mi sono scagliato contro un mondo che non voleva che gli raccontassero una
guerra.

I
miei viaggi in Bosnia sono stati strazianti ma illuminanti. E’ uno dei dilemmi
del fotogiornalismo”.
color:windowtext"> E Bosnia” è fotogiornalismo puro in un bianco e nero
nitido e senza orpelli: le
sepolture di massa dopo
l’eccidio di Srebrenica, le fughe e le attese, la tensione sanguinante degli
ospedali affollati, lo strazio dei sopravvissuti e degli orfani, la gioia
condivisa di un ritorno o di un incontro inaspettato, la mano sul vetro che
saluta chi si allontana per sempre, le coperte stese per oscurare la visuale dei
cecchini.
Ma gli scatti di Hutchings
(ora
raccolti in volume per i tipi di Federico Motta Editore insieme ai testi
estratti dal diario del fotografo)
danno voce anche ad
una Sarajevo disperatamente viva: quella che sfugge alla morte bevendo e fumando
nei bar scampati alle granate, quella che ruba un bacio lontano lungo gli
sbarramenti, che balla il tango nei cortili o si accinge al primo raccolto alla
fine della guerra. Una città sulla quale incombono tuttavia “Il viale dei
cecchini”, l’abbagliante pannello in cui le figure appaiono sfocate,
evanescenti, quasi colte nel passaggio potenziale verso la fine che un colpo di
fucile può decidere all’improvviso; lo splendore niveo punteggiato di croci
del “Cimitero Lion” o de “La linea del fronte” ma soprattutto lo scatto
lancinante - quasi insopportabile - della “Donna uccisa da un colpo di
mortaio” il cui involontario sorriso di morte è probabilmente la
testimonianza più forte dell’intero reportage. Così, a dieci anni
dall’inizio del conflitto, Hutchings irrompe nelle nostre cerimonie dimentiche
ed inutili di fine d’anno con l’occhio lieve e senza scampo delle sue
fotografie. Fino al 16 gennaio.

GiCo

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