Papa Francesco e la sua chiesa della fine del mondo

Papa Francesco“Sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amo fino ala fine” (dal vangelo secondo Giovanni). E a queste parole ho pensato la mattina di pasquetta nell’apprendere, come un tuono a ciel sereno, il triste annuncio della morte di papa Francesco.

All’inizio non volevo credere, ho dovuto fare zapping su tutti i canali televisivi per accettare la mesta notizia. Ma dopo la commozione, lo smarrimento e lo sgomento, credo che dobbiamo avere tutti sentimenti di gioia e di immensa gratitudine per avere avuto questo papa, per tutto ciò che ha detto e ha fatto, in questi dodici anni di intenso pontificato. Si, papa Francesco, ha amato e ha dato tutto se stesso al popolo sino alla fine dei suoi giorni, questo è sicuramente il più grande lascito che c’ha fatto: amare. Ma al di là dei fiumi di parole, discorsi, commenti, e ipocrisie, che sentiremo in questi giorni, vorrei esprimere il mio pensiero su papa Francesco. E’ stato il papa che abbiamo aspettato da sempre, ha detto parole semplici, chiare, comprensibili a tutti, ai vescovi, ai sacerdoti, ai fedeli, ai cattolici, ai non credenti, “la Chiesa è la madre di tutti. La Chiesa è di tutti. C’è posto per tutti. Il Signore non punta il dito, ma apre le braccia.

Ma tutti saremo giudicati”. Ed ho pensato ai devoti di professione, ai volontari del candelabro e delle letture, agli esperti dei riti e delle processioni, ai nostri gruppi chiusi e alle nostre porte serrate. “La chiesa in uscita” è stato il suo manifesto programmatico, cioè la chiesa deve stare fuori dalla chiesa, deve andare nelle piazze, deve parlare con i ragazzi di strada, deve piangere e ridere con tutti, deve vivere il vangelo tra la gente. La chiesa è fontana del villaggio, di più, la chiesa è “ospedale da campo”, per sanare le ferite dei piccoli, dei giovani, dei fragili, per alleviare il dolore delle madri, dei padri, per incoraggiare tutti, per sostenere le famiglie, per confortare gli ammalati, gli ultimi, “per innalzare gli umili”. Soprattutto, a mio parere, papa Bergoglio si è sforzato di rimuovere le incrostazioni del potere, i sedimenti dei giudizi, i fondigli di ipocrisie, le manie di nascondere, le frenesie di apparire, le acredini dei chiacchiericci, in tutti i livelli: nelle curie romane, nelle sedi episcopali, nei consigli parrocchiali, nelle chiese locali, nei sacerdoti, nei fedeli, in tutti noi. E lo ha detto e fatto capire in tutti i modi possibili.

Soprattutto, secondo me, ha cercato di far capire che “l’imborghesimento” delle fede cattolica, cioè l’omologazione ai miti, alle consuetudini, ai valori borghesi (denaro, potere, fama, successo, apparire, omologazione, standardizzazione, globalizzazione) porterà, prima o poi, allo svilimento e allo sfinimento della fede e dei valori cristiani. Questo è il nocciolo della questione, questa è la “madre della battaglia” del cattolicesimo dei nostri tempi. Ed in questo senso, più si è laici, più si è tende alla vocazione universale alla santità della porta accanto, cioè più si è normali, e più si è credenti e fedeli alla parola di Dio; più si sta fuori dalle sagrestie, più si sta lontani dalle false giaculatorie, più si sta alla luce del sole, e più si mette in pratica e si vive la genuinità dell’insegnamento di Gesù. “Come vorrei una chiesa povera per i poveri”, questo è il suo grande messaggio. Penso che da qui, da questo papa, la chiesa non potrà mai più tornare indietro. Grazie papa Francesco. Ce ne ricorderemo.

Angelo Battiato

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