Saloni da barba e barbieri… d'altri tempi

Barbiere - Misterbianco«Ricordo che la prima volta che mio padre mi portò dal barbiere avevo sei anni e dei lunghi capelli neri, ondulati e pettinati a boccoli. Rammento che quando ritornai con la testa rapata a zero, mia madre si mise a piangere a calde lacrime. Ma prima anch’io avevo pianto di rabbia, e non perché mastru Sariddu cominciò a tosarmi come un agnellino, ma perché quell’uomo dalla testa pelata mi faceva antipatia avendolo già visto, qualche giorno prima, cavare un molare con la tenaglia a casa di mio nonno.

Ma cosa c’entrava mastru Sariddu con i denti? Non doveva occuparsi solo di barba e capelli? Cosa facevano esattamente i barbieri di una volta? A ddi tempi, i barbieri, detti anche barbitonsori, appunto perché avevano il compito di occuparsi della parte più delicata del corpo umano, non si dedicavano solo a barba e capelli, ma erano considerati una sorta di chirurghi: estraevano denti, eseguivano piccole operazioni, lievi incisioni, curavano le lussazioni, e perfino le fratture; addirittura, in alcune occasioni, venivano chiamati dai medici condotti per svolgere il ruolo di infermiere! Pertanto, dovete sapere che il nostro mastru varveri faceva barba e capelli, ma se ne intendeva pure di denti! Insomma, era anche… un infermiere! E pure bravo!

Ai tempi antichi il servizio di barba e capelli dentro il salone costava un tumolo (kg.14) di grano all’anno, e un tumulo e mezzo a domicilio. I servizi di cavadenti e salassatore si pagavano a parte, ma sempre in natura. I barbieri, a quei tempi, come d’altronde il resto della popolazione, si spostavano con l’asino, con il quale andavano a riscuotere “l’abbonamento annuo” direttamente nelle aie, dove si trebbiava il grano. Solo qualcuno, più fortunato, era attrezzato di bicicletta. Ai giorni d’oggi possiamo dire che il mestiere del barbiere, come veniva inteso una volta, dopo l’invenzione del rasoio elettrico, degli “usa e getta” per radersi la barba e del “taglia capelli elettrico”, non viene praticato… in nessun Salone da barba! E i moderni “parrucchieri” si occupano solamente di… bellezza e di look! Una volta, invece, il barbiere svolgeva “ad interim” ben altre attività: il dentista, l’infermiere e anche il salassatore.

Infatti, estraeva denti, o applicava dietro le orecchie dei pazienti la mignatta, chiamata ‘a sanghetta, (la sanguisuga), e poi, quando questa si staccava, la svuotava dal sangue o la buttava via. Rivedo ancora, con nostalgia, il Salone da barba di ‘na vota… Caratteristica principale era la lunga e paziente attesa dei clienti fino a tarda sera, gli interminabili dibattiti, le accese discussioni e i pettegolezzi di politica paesana, di donne e delle mogli… degli altri! Il salone, poi, sempre piccolo e tirato a lucido dal giovane apprendista di turno, conteneva i soliti arredi: due o tre sedie imbottite e regolabili, provviste di braccioli e poggiatesta; alcune sedie normali per l’attesa; una vetrina che conteneva tutti gli attrezzi del mestiere; una bacinella di zinco per attingere l’acqua; e una pila di riviste e giornali (alcuni osé), letti e riletti mille volte. Nel periodo natalizio, poi, il barbiere usava regalare a tutti i clienti il classico calendario profumato tascabile, che trattava argomenti di lirica, di cinema e di canzoni, ma soprattutto era arricchito da immagini osé… di donne bellissime, che destavano le fantasie di grandi e piccini.

Nella copertina era evidenziato, a grandi lettere, il nome del barbiere, il luogo dove si trovava ‘u salùni (il salone, così veniva chiamato), e infine gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo; le pagine che seguivano erano tenute assieme da un cordoncino colorato e contenevano i mesi, i giorni dell’anno e le illustrazioni che evidenziavano la grazia e l’esuberanza femminile. Gli uomini maturi si premuravano di averne una copia che custodivano gelosamente nel portafoglio all’insaputa della moglie, mentre gli adolescenti, con la scusa di guardare il giorno, lo tiravano continuamente fuori dalle tasche al fine di dare una sbirciatina alle pagine più licenziose. Prima di iniziare il lavoro, il barbiere, che conosceva bene le preferenze dei suoi clienti, chiedeva loro che taglio di capelli desideravano: ‘na scuzzata (una accorciata); ‘a tunna (rasati a zero); ‘a tedesca (corti dietro e più lunghi davanti); all’umberta (tutti in alto); ‘a sfumari ‘nto cozzu (rasati con sfumatura alta sulla nuca) e lassàti cchiù longhi davanti.

Subito dopo i preliminari, tolta ‘a tistèra (il poggia testa) dalla sedia, veniva stretta intorno al collo ‘a mantellina (un corto mantello che serviva per protezione), così il barbiere iniziava l’opera facendo abilmente uso d’a fòbbicia e d’u pèttini. Per fare la sfumatura adoperava ‘a machinetta (taglia capelli regolabile); per sfoltire i capelli usava ‘a fòbbicia a denti; per sfilarli o pareggiarli ‘u scardillinu (rasoio a lama stretta); per bagnarli si serviva d’a ‘mpullina (ampolla di ottone), che conteneva acqua. Infine, tolti i pila superflui du nasu e di ricchi (i peli del naso e delle orecchie), dopo aver dato, per chi le aveva, ‘na ddizzata (una aggiustatina) ‘e mustazzi (i baffi), spruzzava con ‘a pumpetta (bottiglia con spruzzatore in gomma), ‘u borotaccu (il borotalco) o cìpria (cipria), e subito eliminava i peli superflui rimasti, c’u spazzulinu (una spazzola molto fine).

Per radere la barba bisognava prima ammorbidirla con la saponata per mezzo d’u pinnellu (pennello), immergendolo nel sapone che si trovava ‘nta coppa (recipiente di ottone). Quest’operazione veniva svolta da un apprendista, ‘u giùvini, il quale, quando non arrivava al volto del cliente, adoperava come rialzo ‘u vanchìttu (predella di legno). ‘U principali (il maestro), effettuava la rasatura con ‘u rasolu (il rasoio) affilatissimo, operazione molto delicata che comportava praticità e competenza, specialmente in alcuni punti della faccia: ‘u vavvarozzu (il mento) e sutta ‘o còddu (sotto le mascelle), dove si poteva verificare qualche taglietto. Per porre rimedio a quest’ultimo inconveniente si usava ‘u stagghiasangu (matita emostatica). Se il rasoio tagliava poco bastava passarlo più volte supr’a strappa (una striscia di cuoio) sulla quale si metteva una composizione di cera chimica, ‘a pasta, per renderla più liscia oppure si passava supr’a petra di’ firrari (sulla pietra dei fabbri ferrai), così ritornava affilatissimo. Per una rasatura più profonda bisognava fare ‘u contrapìlu (il contropelo), mentre per evitare infezioni sulla superficie rasata, veniva passata ‘a petra lumi, minerale composto da solfato e potassio.

Per pulire ‘u rasolu si usavano le pagine di vecchi giornali ingialliti oppure le schedine della Sisal non utilizzate. Infine, con un attrezzo particolare munito di pumpetta, si spruzzava l’assenzu, un profumo simile al dopo barba che si diffondeva per tutta la stanza. Il cliente, finalmente, era servito… e riverito! “Sutta a ccu tocca”, gridava impettito mastru Sariddu, come se stesse aspettando di passare in rassegna un battaglione di granatieri, e dopo un breve silenzio, il cliente di turno, riemerso dall’ultima concitata discussione o dalla lettura del giornale, ribatteva deciso, “Vavva e capiddi”. E ‘nto Salùni ritornava daccapo l’allegra baraonda di prima!».

Angelo Battiato

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