I social, i media e il mondo che verrà. Verso la "rivoluzione digitale". Dialogo con Giuseppe Motta

Dialogo“Vuoi un sigaro?” – “No grazie, il fumo mi fa male!”. Così iniziano le nostre serate, in compagnia degli amici di sempre, nel salotto di casa sua, davanti a montagne di libri (tutti letti) e all’immancabile bicchiere di vino rosso; eternamente in bilico tra i ricordi della nostra sconfinata giovinezza, passata tra le mattonelle sbilenche del Coraghésa, il bilancio dell’ultima vacanza, i preparativi per la prossima, e un moto galoppante d’allegria, che ci trafigge il cuore, e che, come puntini di sospensione, traccia un sentiero, tra un passato mai passato e la speranza di cambiare ancora il mondo, o comunque di provarci, nonostante tutto.

E così, dopo aver sorseggiato e costeggiato vari argomenti, prendiamo il largo e puntiamo dritti sul tema “principe” delle nostre discussioni, “i social, i media e il mondo che verrà”, con Giuseppe Motta, giurista, sociologo ed esperto in Sociologia del diritto e dei Media digitali.

Giuseppe, in fondo stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione digitale che sta cambiando la nostra vita, e modificando tutti i parametri sociali, economici e culturali che hanno caratterizzato la nostra generazione. Secondo te può essere paragonata alla rivoluzione industriale del Settecento?
«Certo! Noi stiamo vivendo la “quarta rivoluzione industriale”. A differenza delle prime tre rivoluzioni industriali, che si fondavano su specifiche scoperte scientifiche, questa è incentrata fondamentalmente sulla connessione globale, sull’integrazione di tecnologie intelligenti in tutti gli aspetti della vita quotidiana e del lavoro, sulle biotecnologie, sulle blockchain e sulle energie rinnovabili. Di fatto è molto più pervasiva perché incide su ogni aspetto della nostra vita, nessuno escluso,e, di conseguenza, ha un potenziale micidiale sia nel bene che nel male».

Quindi la quarta rivoluzione industriale è caratterizzata da una serie di tecnologie piuttosto invasive sia della sfera pubblica che di quella privata; ma di preciso come incidono, come dici tu, “nel bene” e “nel male”?
«Tutte le tecnologie che ho elencato hanno un impatto, per certi versi, devastante sulla società, sull’economia e sulla politica. Da un lato ci sono indubbi effetti positivi, quali l’aumento della produttività e dell’efficienza, perché permettono di ottimizzare i processi produttivi, ridurre i costi e migliorare l’efficienza in molti settori, dall’industria alla sanità, passando per l’agricoltura e i servizi. Sicuramente facilitano i meccanismi di accesso alle informazioni ed infatti, tramite la rete, i social media e le tecnologie mobili si è avuta la più grande democratizzazione dell’accesso alle informazioni nella storia dell’uomo e un miglioramento delle comunicazioni globali sia dal punto di vista della quantità che della velocità anche se purtroppo non della qualità. Adesso tutti possono accedere a una vasta gamma di conoscenze in tempo reale e connettersi istantaneamente con altre persone con cui interagire, indipendentemente dalla loro posizione geografica, dal livello culturale e da quello economico.
Ad esempio, la sanità ne ha tratto sicuro giovamento attraverso i meccanismi della bioinformatica, che consente di velocizzare nei laboratori la sequenziazione del DNA, di gestire grandi volumi di dati biologici e di creare modelli di sistemi biologici per simulare processi cellulari e molecolari che altrimenti richiederebbero anni di esperimenti e simulazioni. La telemedicina e la medicina personalizzata, anche se in fase iniziale, stanno migliorando il trattamento delle malattie, permettendo diagnosi più accurate, trattamenti più efficaci e maggiore qualità della vita. Sul piano della sostenibilità ambientale le energie rinnovabili stanno contribuendo a ridurre l’impatto ambientale, diminuendo la dipendenza dai combustibili fossili e promuovendo una produzione più sostenibile. Le blockchain, infine, con le sue caratteristiche di decentralizzazione, immutabilità, trasparenza e sicurezza, hanno inciso profondamente sulla finanza internazionale consentendo una governance decentralizzata, creando un sistema alternativo senza intermediari e, di conseguenza, svincolato dai cd. poteri forti e dalle imposizioni delle Istituzioni. Una sorta di anarchia “governata” dagli algoritmi.
In tutto questo l’intelligenza artificiale gioca un ruolo fondamentale, in quanto parte attiva di ogni cambiamento che le nuove tecnologie porteranno».

Ma adesso, veniamo alle dolenti note… e agli aspetti negativi? In particolare non credi che i social abbiano cambiato in peggio non solo il nostro modo di vivere ma anche i sistemi politici, le Istituzioni il concetto stesso di democrazia?
«Procedendo con ordine, vediamo quali sono i “risvolti negativi” delle nuove tecnologie. In primo luogo la prima conseguenza che si è già evidenziata negli ultimi 15 /20 anni, con lo sviluppo del Web 2.0 e più recentemente del Web “semantico” è quello della connessione permanente alla Rete con la possibilità di interagire con gli altri utenti e riversare contenuti propri in tempo reale; tutto questo è stato offerto apparentemente in modo gratuito specie dalle multinazionali che detengono il controllo dei social. Ciò ha comportato nella quasi totalità degli utenti una folle corse all’apparire, a raccontare quanto più possibile se stessi, le proprie abitudini, gli stili di vita. Insomma l’importante è esserci. L’anonimato social può essere paragonato nell’immaginario collettivo ad una forma di isolamento sociale che ci esclude dalla comunità-mondo».

Scusa se ti interrompo, ma sono davvero gratis i servizi che ci offrono i Social?
«Bravo! Hai centrato il problema. Nulla nella società del consumo è gratuito. Noi usufruiamo dei servizi di Rete (non solo i social ma si pensi anche ai motori di ricerca di Google di Microsoft, ecc o ai software di intelligenza artificiale on line quali Chat-gpt, Claude 2.0 o Gemini) apparentemente senza pagare. In realtà il prezzo siamo noi stessi, le nostre vite, i nostri affetti, la nostra salute che sbandieriamo on line, considerandola una libertà acquisita di cui non possiamo più fare a meno. Le grandi multinazionali che dominano l’Internet e detentori dei Big Data, approfittano di questa “voglia di esserci” per aumentare con facilità e “gratis” la raccolta e l’analisi dei dati di ognuno di noi senza che si possa fruire di alcuna protezione della privacy, in quanto siamo noi stessi, che in cambio dell’apparente gratuità dei servizi di rete, offriamo tutta la nostra vita a chi raccoglie e manipola i nostri dati personali più intimi. Ciò ci deve preoccupare per la possibilità dell’uso improprio delle informazioni personali da parte di aziende o governi, per non parlare alle possibilità che diamo a chi ci conosce meglio di come conosciamo noi stessi, perché in grado di aggregare tutti i nostri dati personali che offriamo in rete, di manipolare i nostri pensieri, sentimenti e idee a scopi commerciali, politici o illeciti. Per semplificare: si immagini di essere respinti ad un colloquio di lavoro in quanto inaffidabili perché siamo troppo presenti sui social, mostrando di fare una vita pericolosa per la nostra salute, magari mostrandoci ogni sera sbronzi in discoteca, o a fare follie in moto e tutte queste notizie gliele abbiamo date noi con la mania di pubblicare ogni momento della nostra vita».

Hai approfondito gli aspetti micro sociologici del fenomeno, continuiamo adesso con i macro effetti negativi delle nuove tecnologie.
«Sarà molto probabile in un futuro vicinissimo un aumento della disoccupazione tecnologica proprio in virtù di quelle capacità di razionalizzare ed economizzare i processi produttivi anche con l’ausilio dell’informatica e della robotica e, in particolare, dell’intelligenza artificiale (in maniera molto più incisiva che nei decenni precedenti) e questo sicuramente, a livello socio-economico, è uno degli aspetti negativi che più possono incidere sia a livello micro che macro. La caratteristica di tale fenomeno è, infatti, quella per cui non solo i lavori ripetitivi e meccanici verranno soppiantati dai Robot ma anche buona parte dei lavori cd. di “concetto” o “intellettuali” potranno essere svolti dall’intelligenza artificiale. A voler essere “luddisti della IV rivoluzione” si potrebbe dire che il mondo potrebbe fare a meno dell’uomo!
Nel campo della finanza internazionale già oggi buona parte delle transazioni nelle borse sono affidate a programmi di intelligenza artificiale molto più veloci e prestanti degli uomini. Nell’Amministrazione pubblica e nelle grandi Aziende di servizi (energetiche o telefoniche ad esempio) buona parte dei procedimenti sono cadenzati o addirittura svolti da software che prendono decisioni al posto dei burocrati (pubblici o privati).
L’uso di sistemi automatizzati e algoritmi può minare infatti la capacità di decisione e il controllo umano in molte aree. In tal senso è facile diventare dipendenti da sistemi che prendono decisioni in modo autonomo, riducendo la responsabilità personale e creando difficoltà etiche. A questo proposito mi permetto di citare un mio lavoro che descrive quella che ho chiamato la teoria del software legislatore in base alla quale l’output del computer, per il burocrate disfunzionale, prevale anche sulle norme giuridiche (n.d.r. si riferisce al volume, “C’è ancora bisogno della burocrazia?”, di Giuseppe Motta Agorà & C. ed., Zurigo, 2014).
Tutto ciò porta sicuramente ad una crescita delle diseguaglianze in quanto le nuove tecnologie tendono a favorire chi ha già accesso a risorse economiche, competenze e istruzione avanzata, aumentando il digital divide e creando un divario tra chi può beneficiare delle innovazioni e chi non può o non è in grado di farlo. Tutto ciò può rendere più difficile per alcuni adattarsi al cambiamento tecnologico, relegandoli ai margini di una società sempre più classista e discriminante».

Hai accennato all’inizio dell’intervista, parlando di informazione e comunicazione, di una cosa che mi ha molto colpito. Dici che si è avuto un enorme incremento nell’accesso alle informazioni e un miglioramento delle comunicazioni globali sia dal punto di vista della quantità che della velocità, ma aggiungi che non si è avuto un aumento della qualità delle informazioni. In che senso? Non è meglio per la libertà e la democrazia che ci sia una disponibilità quasi infinita di informazioni?
«Ottima osservazione! Ti rispondo citando un libro di quello che attualmente è considerato uno dei maggiori storici viventi: Yuval Noah Harari, che nel suo ultimo saggio “Nexus” dà una nuova lettura della storia, riformulando appunto la storia dell’uomo attraverso le reti di informazioni e di come i flussi informativi hanno plasmato noi e il nostro mondo. Lo storico distingue tra due tipi di approccio alla sterminata mole di informazioni che la IV rivoluzione industriale ci ha “regalato”: quello “ottimistico” e quello “pessimistico”, che noi italiani possiamo accostare alla differenza tra apocalittici ed integrati di “Echiana” memoria, L’approccio ottimistico è quello di chi vede nell’aumento esponenziale di informazioni in Rete un beneficio per la libertà e per l’aumento della cultura nei cyber naviganti. Infatti, più informazioni si hanno più si è liberi di scegliere, mediante le infinite possibilità di accesso a contenuti e risorse educative a chi ne era escluso, inoltre, dovrebbe favorire un pensiero più critico ed una maggiore comprensione delle questioni più complesse.
L’approccio pessimistico è invece quello di chi ribalta totalmente il punto di vista nell’ottica del “troppe informazioni = nessuna informazione”. In tal senso, l’overload information porterebbe ad un sovraccarico di informazioni e di conseguenza all’impossibilità di prendere decisioni ponderate. Esiste un limite naturale alla nostra capacità e celerità di elaborazione delle informazioni. Il sovraccarico cognitivo, infatti, pregiudica la nostra capacità di recepire, selezionare e comprendere gli stimoli che veicolano informazioni importanti per noi. La conseguenza è quella per cui il cervello in automatico tenderà sempre a selezionare le informazioni più semplici e vicine alle proprie idee ed ai propri pregiudizi, riproducendoli e rafforzandoli. Su questi meccanismi psicologici si basa ad esempio la propaganda populista che mediante semplificazioni molto forzate sfrutta il bias di conferma che c’è in ognuno di noi battendo, anche mediante fake news, su concetti che hanno una forte presa sul cittadino medio. Se a questo si aggiunge che grazie ai nostri dati, che così disinvoltamente regaliamo in Rete, chi ne ha il controllo conosce ogni nostra paura o desiderio reconditi e sa come stimolarli o tenerli sotto controllo, capirai che il gioco è fatto».

Concludendo brevemente qual è a tuo avviso il modo con cui bisognerebbe affrontare i problemi che nascono con il diffondersi delle nuove tecnologie?
«Personalmente non sono un uomo di certezze, la verità va cercata sempre, pur sapendo che non potrà mai essere raggiunta ma solo intravista in lontananza, quindi tendenzialmente non sono né un apocalittico né un integrato. Credo che stiamo entrando in un periodo storico che potremmo definire di “umanesimo digitale” in un’ideale continuità storica con l’umanesimo rinascimentale e, così come questo poneva l’uomo al centro del proprio interesse conoscitivo, trasformando radicalmente la visione del mondo e del sapere; analogamente, oggi il “mondo” da esplorare e comprendere è quello digitale. L’essere umano va collocato al centro di questo nuovo universo, assumendo un ruolo attivo nella sua costruzione e nel suo utilizzo, promuovendo un approccio allo sviluppo tecnologico che si focalizzi sull’utilità sociale e umana delle innovazioni. L’obiettivo è creare tecnologie che siano al servizio dell’uomo e non viceversa, garantendo un rapporto simbiotico tra individuo e macchina, in una continua ricerca del modo come valorizzare le potenzialità umane attraverso l’utilizzo consapevole e critico delle tecnologie digitali, per costruire un futuro in cui l’innovazione sia al servizio del benessere collettivo e non solo individuale. In questo processo di continuo divenire, tuttavia, è cruciale ricordare che una governance lungimirante non si limita a inseguire il consenso contingente, ma lavora per il progresso sostenibile delle generazioni a venire con il supporto “etico” delle nuove tecnologie».

Un’ultima domanda. Come vedi il futuro dei nostri figli? Sei pessimista o ottimista?
«Se devo essere sincero ho difficoltà ad immaginare i prossimi cinque anni, figurati il futuro dei nostri figli! Battute a parte, dobbiamo tener conto del fatto che ogni cambio di paradigma, per dirla alla Thomas Kuhn, portato da una rivoluzione scientifica, causa uno sconvolgimento sociale ed un salto in avanti spesso imprevedibile. L’intera visione del mondo nel quale la teoria esiste e tutte le implicazioni che ne derivano subiscono un’irreversibile mutazione epistemologica. Immagina il passaggio dalla teoria tolemaica a quella copernicana che sancì la fine del monopolio della cultura e della Verità della Chiesa Cattolica aprendo la strada al metodo scientifico galileiano, rivoluzionando tutte le scienze e facendoci entrare nell’era moderna. Inoltre, la consapevolezza che la Terra non fosse il centro dell’universo portò a una visione più relativistica della posizione dell’uomo nell’universo. Questo influenzò anche il pensiero filosofico, con lo sviluppo del pensiero razionalista e, successivamente, con l’affermarsi dell’Illuminismo, con la promozione di ideali come la ragione, il progresso e l’autonomia del pensiero umano. Allo stesso modo quella che è stata definita la IV rivoluzione industriale produrrà un’accelerazione esponenziale del progresso scientifico e, di conseguenza, ciò sicuramente creerà, specie nelle nuove generazioni, un’alterazione delle dinamiche sociali e delle relazioni interpersonali che già in parte possiamo notare. L’intelligenza artificiale sta già cambiando il modo in cui i ragazzi interagiscono con la tecnologia e tra di loro, influenzando le loro capacità sociali e relazionali ed alterando i concetti di autorità e di creatività. Questo “spaesamento” tecnologico aumenta le difficoltà a comprendere la differenza tra mondo reale e mondo virtuale e, nel peggiore dei casi, porta a delle vere e proprie psicosi. Ma come sempre è capitato nell’evoluzione dell’uomo ad un balzo in avanti che mieterà molte vittime, farà seguito una lenta “restaurazione” con un assestamento in una posizione che riuscirà a comporre lo sviluppo tecnologico compulsivo con l’esigenza di un’esaltazione di quell’umanesimo di cui ho parlato nella risposta alla tua precedente domanda. Purtroppo, come in tutte le rivoluzioni ci saranno delle vittime e probabilmente la generazione dei millennial sarà quella che ne risentirà di più, perché ha vissuto in modo traumatico il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale».

Già tutta l’aria del salotto s’era impastata del fumo del sigaro, e non solo l’aria! Io accettai, di buon grado, un bicchiere di vino buono della sua cantina, per metabolizzare l’interessante dialogo, o forse per cercare di comprenderlo appieno. Infine, insieme agli amici di sempre, navigammo fiduciosi verso il futuro.

Per approfondire gli argomenti: www.giuseppemotta.it Laboratorio di sociologia del diritto.

Angelo Battiato

tags: