Frida Kalho secondo Gioacchino Palumbo

Il regista catanese è l'autore della piece "Albero della speranza sii solido", nel cartellone di Gesti Contemporanei la rassegna fuori porta dello Stabile.

C’è una
scheggia di Casa Azul di Coyoacan, il sobborgo di Città del Messico, piantata
nel cuore barocco di Catania. E la scena-dimora lussureggiante in cui Frida
Kalho, celeberrima pittrice sudamericana, trascorse molti dei suoi tormentati
quarantasette anni. Ed è qui, al centro della scena dominata da una gigantesca
tela bianca che Gioacchino Palumbo, nella doppia veste di autore e di regista,
dipinge la sua Frida Kalho con “Albero della speranza sii solido”, l’atto
unico prodotto dal Teatro del Molo 2 che “Gesti
Contemporanei”, la rassegna estiva dello Stabile, accoglie nel suo secondo
appuntamento sulle fascinose basole del Cortile Platamone. La piece è una
“lettera intima” - non certo una celebrazione della icona pop 
- di Frida, la bohemien messicana che, nata tre anni prima della
rivoluzione di Zapata e di Villa, si riconosce - dopo il terribile incidente (un
corrimano le trafisse la schiena e parte della vagina) che la trasforma in un
“corpo rotto” - come una “bottiglia alla deriva, che vive nel tentativo di
essere trovata e salvata”. Ed è su quella tela, ed è su quella scena che
scorrono insieme la vita e le immagini dei suoi quadri, le sue lettere
appassionate, mentre la voce narrante della medesima protagonista (una Donatella
Finocchiaro che piega la sua naturale esuberanza espressiva ad una resa
allusiva, quasi per sottrazione) ne ricostruisce in sottofondo le tappe più
significative. Dai rapporti col padre epilettico ma valente fotografo (Bruno
Torrisi)
- da cui l’artista ereditò “la pazienza dell’artigiano”
- alla militanza comunista; dall’amicizia con Tina Modotti, alla trascinante
vitalità di Diego Rivera (Vincenzo Failla) il pittore-seduttore;
dall’innamoramento al matrimonio con quest’uomo che è “tutte le
combinazioni”; dal singolare e contrastato rapporto con l’ex moglie di
Riviera, Lupe (Pamela Toscano) e con l’esule Lev Trockji ai dissidi con la
sorella Concetta (Egle Doria); dai frequenti aborti - una mancanza che sentirà
sempre lancinante - alle relazioni extraconiugali, fino a quelle lasciate
trasparire con il mondo artistico non solo messicano. In forma quasi monologante la narrazione si snoda su più piani che la
regia dello stesso Palumbo amalgama in un denso continuum multimediale:
propriamente drammaturgico (la vicenda straordinaria di Frida); cinematografico
(la dinamica analettica della sua storia); dialogico (il rapporto di Frida con
la famiglia, la sorella, il compagno Diego Rivera, il mondo dell’arte). Questa
donna dal “corpo spezzato” che le musiche di Nello Toscano, eseguite dal
vivo dal compositore catanese accarezzano con levigata sensualità, racconta
senza eccessi spettacolari (si pensi
al film di
Julie Taymor)
soprattutto la necessità - e non la scelta - della
pittura e della sua funzione sublimante: “Ritrassi così - è la dichiarazione
fondamentale dello spettacolo - il mio ricompormi”.
Allora, il suo volto
mascolino,
le sue sopracciglia folte sono davvero “i neri
corvi del malaugurio che volano sopra il campo di grano di Van Gogh".

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