"Capsi o gommetti, Matrice o Santa Nicola!?", ovvero, la Festa dei Morti a Misterbianco

Dolci festa dei morti - MosterbiancoLa festa dei Morti, ogni anno, è l’incontro della vita con la morte. E’ un incontro mistico, miracoloso, quasi carnale, che “tocca” l’essenza stessa della vita e della morte dell’uomo. Ed è un incontro unico, indefinito e sacro. Com’è unica e sacra la vita e la morte d’ogni uomo. La morte si “carica” di memorie, di ricordi, di legami, di “corrispondenze d’amorosi sensi”; e la vita si nutre d’affetti, di famiglia, d’amore.

E’ un tutt’uno di corpo e di spirito, di carne e di anima, d’umano e di divino. Un palpito di cuore e d’infinito. Per un giorno, per una notte, la vita e la morte si sfiorano, s’incontrano, si toccano con mano. Questo è il miracolo profondo, intimo, istintivo, della festa dei Morti. Ed è la tradizione antica, “commovente e miracolosa”, della festa di Ognissanti nel mio paese. Nella notte tra l’1 e il 2 novembre, ogni anno, noi ragazzi con trepidazione aspettavamo i nostri cari morti che ci portavano affetto e regali. E al mattino, dopo una notte insonne, era un’emozione indescrivibile trovare sotto i mobili delle camere di casa dei nonni e degli zii ogni ben di dio. “Chi ti lassaru ‘i morti?”, chiedevano stupiti i ragazzi d’allora. Ed era una gioia incontenibile per noi ragazzi cercare sotto i mobili, la credenza, ‘u cantaranu, ‘a buffetta, l’armadio, sotto il lettone della nonna, cos’avevano portato i nostri parenti defunti. Per poi trovare un fucile, la pistola di Buffalo Bill, un carro armato, una macchinina, un trenino, una bambola, un quaderno, un giubbotto (pensavano anche al freddo inverno i nostri amati defunti!),ma anche frutta candita, paste di mandorla, biscotti della monaca. E poi i dolci, una goduria per il palato, “ossi ‘i mortu”, “rami nìuri”, “‘nzuddi”, angioletti, tutte specialità create dalle sapienti mani delle nonne e delle mamme.

Poi dalla strada si sentiva l’odore della polvere da sparo della “battaglia tra Matrice e Santa Nicola”. La più incredibile e quasi leggendaria tradizione dei ragazzi misterbianchesi di quel tempo. Era una “guerra” cruenta, combattuta “all’ultimo sangue” quella dei “Matriciani” contro i “Santanicoliani”, un “conflitto” che ogni anno si ripeteva negli stessi luoghi, con le medesime modalità, con la stesse tattiche dell’anno precedente. Ed aveva sempre gli stessi vincitori: ambedue eserciti contendenti! Non c’era angolo del paese, vicolo, strada o piazza, dove non arrivava l’eco delle cariche, degli assalti, degli spari e delle ritirate strategiche degli “squadroni” dei ragazzi. Ogni esercito aveva un “quartier generale”, con tutto di sentinelle, di stato maggiore e di comando supremo, con dei confini invalicabili e persino con una zona per gli eventuali prigionieri. D’altronde, tutto il paese, in quei giorni, era un campo di battaglia.

“Capsi o gommetti, Matrici o Santanicola!?”, questa era la parola d’ordine, il mantra, che i ragazzi ripetevano ad ogni incontro “sospetto”, nei crocicchi e nelle penombre della sera. Leggendari erano i combattimenti in territorio neutrale, ai “Sieli” e “Sbalinchi ‘o ‘Nfernu”, dove si avventuravano soltanto i “guerrieri” e i “generali” più valorosi ed esperti. Rasenta la leggenda la figura di un comandante Matriciano , il suo nome era “Pippo Ariddu”, le sue valorose gesta si tramandavano da generazione in generazione di ragazzi e si raccontavano d’estate e d’inverno nei “pisoli” del Coraghèsa o nella scalinata di Santa Nicola. Pippo era un ragazzo intraprendente e generoso, molto conosciuto nell’ambiente cittadino anche per altre imprese di gioventù, di cui si sono perse le tracce. Poi, passata la festa dei Morti, finiva anche la guerra dei ragazzi, terminava così all’improvviso com’era iniziata, ed i ragazzi, protagonisti del mitico conflitto, ritornavano nuovamente amici e compagni di scuola. E, nelle fredde serate d’inverno, o nelle calde notti d’estate, felici ricordavano il fucile “ca mi lassau ‘u nannu” e l’ultimo e irresistibile attacco prima della vittoria finale. Questa era la festa dei Morti, laggiù, nel mio paese, nel tempo dorato della nostra fanciullezza, nell’età dell’innocenza, a due passi dalle nuvole...

Angelo Battiato

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