Spazio Teatro con due protagonisti della scena italiana: Luca De Filippo e Umberto Orsini insieme per "L'arte della commedia" in scena sui legni del Verga. Il Caffè-Libreria Tertulia accoglie l'incontro-intervista curato dalla giornalista Maria Lombardo.
“Teatranti
con la maiuscola”. Così Antonio Torrisi, direttore artistico del Teatro
Stabile, introduce Luca De Filippo e Umberto Orsini alla folla che assiepa il
Caffè-Libreria Tertulia, scelto dallo Stabile catanese per lo Spazio Teatro
ovvero gli incontri-interviste “con la cultura e le componenti dello
spettacolo” curate da Maria Lombardo. Per inaugurare questa strana coppia del
teatro italiano, l’occasione è stata quella offerta lo scorso anno da due
centenari: la nascita del grande Edoardo e quella del Teatro Eliseo di Roma. E
così “L’arte della commedia” in scena sui legni del Verga è diventata un
modo - sottolinea Luca De Filippo - di ricordare e festeggiare allo stesso
tempo”. Se questi nasconde dietro una maschera schiva e timida una carica di
simpatia, all’occorrenza anche corrosiva, Umberto Orsini, fasciato da una nera
sciarpa, ostenta (giustamente) un distacco da divo, ripercorrendo la sua storia
d’attore “senza vocazione vera” ma con la faccia tosta e le accattivanti
doti esteriori che lo spostano per caso da uno studio notarile fino
all’Accademia. “Una vocazione - puntualizza - sopraggiunta però con gli
anni”, attraverso un impegno sulle scene anche con certa drammaturgia
innovativa (da Pinter ad Handke a Berhnard) e che lo ha portato ad interpretare
una “galleria di mascalzoni” ovvero personaggi scuri, estremi, alle prese
con turbamenti mentali: il suo Ivan Karamazov televisivo continua ad essere
memorabile. Circa “L’arte della commedia” in cui veste i panni del
prefetto De Caro, confessa di aver nutrito “quelle perplessità smentite
subito nei fatti e di considerarla anzi una macchina teatrale quasi perfetta”.
Luca De Filippo invece divaga sul tema del teatro, ricorda - scavando discreto
nelle memorie di famiglia - la costruzione dello spettacolo da parte del padre,
svelandone le tante “voci di dentro”: il teatro inteso come impegno sociale
per esempio, soprattutto in tempi di censura, al tempo delle irruzioni della
polizia durante rappresentazioni ideologicamente pericolose, e lamentandone
l’attuale indolenza: “Adesso non succede più nulla, nonostante le denunce
sulle scene perché l’odierno muro di gomma è peggio della censura”. Scopre
anche gli altarini di uno Stato che dimenticandone la funzione centrale continua
a non essere generoso col Teatro: “E non è un problema soltanto di
sovvenzioni - precisa - spesso i soldi fanno peggio”. Si indegna signorilmente
pure per il tragicomico siparietto finale: una inaspettata invasione televisiva
tanto incauta quanto sclerotica e alla cui artiglieria di ovvie domande sfugge
da figlio d’arte: dicendo sempre di sì...
GiCo