Moderna e utopica: la pittura di De Filippi a L'Arte Club

La pittura di Fernando De Filippi tra mito e razionalità, recupera la classicità e sfida l'appiattimento moderno dell'arte.

Una pittura luminosa, impronta del non-luogo e al contempo
della ratio, in cui convergono modelli archetipici insieme ai corpi e
alle rappresentazioni del mito: chimere e costellazioni, scenari e simboli. E’
la pittura tanto “mitemica” quanto “cartesiana” di Fernando De Filippi,
in mostra lungo le accoglienti sale de L’Arte Club di Franco Cappadonna, la
galleria nella centrale via di Sangiuliano. Le opere dell’artista
sessantunenne, direttore dell’Accademia di Brera, risultano impostate sulla
tendenza pittorica legata all’utilizzo intelligente degli strumenti, ovvero ad
una condizione dell’operare tipicamente italiana: a questo proposito
l’esperienza del giovanissimo De Filippi “a bottega” presso l’Istituto
d’Arte della sua Lecce non è certo stata priva di conseguenze. La sua opera
è orientata verso una pittura colta, “da leggere piuttosto che da guardare”
– aggiunge lo stesso De Filippi - e che non si ferma affatto al puro rapporto
con l’occhio. Anzi, una serie di elementi giovano a comporre e a decifrare il
“racconto” in pittura legato al nostro patrimonio culturale mediterraneo e
greco, alla pienezza di un rapporto estetizzante e colto inscritto già
all’interno delle nostre rappresentazioni e magnificato dai concetti di
grazia, di equilibrio, di armonia. Ecco perché la pittura di De Filippi appare
come ricongiungimento essenziale alla cultura-matrice, sostanziata di storia, di
memoria, di accumuli che a volte riemergono anche irrazionalmente. Insomma un
modo di ripercorrere alla stregua di Savinio (come disvelamento) e di de Chirico
(in forma di ricostruzione scenografica) tutta la “classicità”.

“In un momento di internazionalismo e di sostanziale azzeramento
dell’arte - aggiunge De Filippi - in cui la produzione appare equivalente, il
mio operare non è nostalgia, ma testimonianza altra nel tempo omologato
e condiviso”. Il segno è dunque traccia memoriale, re-interpretazione,
racconto per immagini e appunti, anacronistico solo in
apparenza, in realtà svelamento, come ha notato Giuseppe Frazzetto,
dello “stratificarsi di referenti semantici”. Questa classicità oltrepassa
così i limiti del dato puramente celebrativo, della citazione erudita: la
rivisitazione del mito operata da De Filippi è perciò un ritorno al tempo del
fare e della tecnè “nel senso - ha scritto ancora Frazzetto - dello
sconfinamento e dello scambio tra i saperi che la tradizione riteneva propri
dell’attività specificatamente artistica e di altre provenienti
dall’architettura, dal design e perfino dall’artigianato d’èlite”.La
mostra rimarrà aperta fino al 10 dicembre.

GiCo


tags: