La deriva della conoscenza: Amleto secondo Pietro Carriglio

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Sospensione di ogni certezza, angosciosa polifonia di dubbi: il prismatico “mistero” dell'Amleto shakespeariano approda allo Stabile di Catania (Sala Verga, dal 4 al 30 maggio), nella traduzione di Alessandro Serpieri, per la regia di Pietro Carriglio, che firma anche scene e costumi. Gratificato dal vivo successo nazionale, l’allestimento è prodotto dal Teatro Stabile Biondo di Palermo in collaborazione con quello etneo. La recitazione è affidata a Luca Lazzareschi (Amleto), Galatea Ranzi (la regina Gertrude), Luciano Roman (il re Claudio), Nello Mascia (Polonio), interpreti principali accanto a Franco Barbero, Sergio Basile, Eva Drammis, Paolo Musio, Simone Toni, Lorenzo Bartoli, Domenico Bravo, Maurilio Giaffreda, Marco Lorenzi, Luigi Mezzanotte, Francesco Prestigiacomo, Jennifer Schittino, Oreste Valente. Le musiche sono curate da Matteo D’Amico, le luci da Gigi Saccomandi.

Fin dall’inizio della sua attività registica, Carriglio, da anni direttore dello Stabile palermitano, ha dedicato un’attenzione particolare al teatro di Shakespeare. E non solo per la sua grandezza letteraria e drammaturgica, ma anche perché costituisce la più complessa espressione di un’epoca di grandi stravolgimenti – per certi versi paragonabile alla nostra – dove si assiste al crollo di valori e certezze, dopo il trionfo del Rinascimento. Amleto, in particolare, è il simbolo della crisi dell’uomo moderno di fronte al destino e alle proprie responsabilità, ma è anche un'esemplare metafora del teatro come visione del mondo.

Dopo un primo studio, presentato al festival delle Orestiadi di Gibellina nell’estate del 2006, lo Stabile di Palermo ha proposto nel 2009 la versione definitiva del capolavoro di Shakespeare, che ha già toccato in tournée i più importanti teatri nazionali, da Modena a Milano, passando per Genova, e poi Venezia, Padova, Roma, Trieste e Brescia.

«Con una magnifica compagnia di attori – sottolinea il traduttore Alessandro Serpieri – Carriglio offre una lettura teatrale molto ampia, limpidamente fedele al testo e allo stesso tempo ricca di invenzioni funzionalizzate all'esplorazione di quel “mistero” che Amleto rinserra nelle sue molteplici quinte».

Il vero dramma del protagonista, spiega lo studioso, è la percezione della «deriva della conoscenza» e trova espressione nel doppio lutto, «personale e fattuale da un lato, epocale ed epistemologico dall'altro, che si sviluppa in un nuovo disegno tragico in cui il personaggio eponimo si pone le domande capitali sul senso del sembrare e dell’essere, del fare e dell’essere e infine dell’essere e del non essere. L'azione drammatica è così destinata a sbandare e a sospendersi, seguendo uno sviluppo non lineare, in cui una costante metadrammaticità conferisce all'opera un andamento pluriprospettico».

E conclude: «L’unica certezza cui approda il Principe di Danimarca è quella finale della morte, che tutti omologa e livella, eliminando qualsiasi differenza e qualsiasi valore in una stessa vanificazione metastorica. Letto da questa prospettiva finale, Amleto è la tragedia della morte, della drammaturgia della morte, il “personaggio” da sempre incombente sulle vicende umane per concluderne tutte le scene e le azioni, legittime e illegittime, sensate e insensate».

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