La corsa "forzata" alle estrazioni di gas: ecco il "PiTesai" ministeriale, dove la Sicilia appare tra le regioni destinate alle trivellazioni

EstrazioneViene alla ribalta un termine pressochè sconosciuto ai non “addetti ai lavori”: il “PiTesai”. Vediamo come e perché.

La guerra di invasione in corso in Ucraina, le sanzioni occidentali alla Russia e l’aumento delle bollette stanno imponendo di fatto com’è noto il tentativo di un maggior approvvigionamento e autonomia dell'energia, con una spinta all'uso di fonti fossili ed estrazioni, accelerando anche la rincorsa nella ricerca di nuovi pozzi di gas in Italia (dove alcuni attuali giacimenti attivi sarebbero in esaurimento), in quanto «in questo momento storico essa assumerebbe una rilevanza fondamentale per affrancarsi dalla dipendenza dal gas russo».

Ma già nel dicembre 2021 - prima della guerra scoppiata il 24 febbraio 2002 - veniva approvato il “PiTesai” (“Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”) con decreto del nuovo Ministero per la transizione ecologica, pubblicato il 10 febbraio, inteso a «pianificare e permettere una corretta transizione energetica ed ecologica - riducendo l'estensione dell'area di estrazione al 42,5% della terraferma e al 5% della superficie marina - fissando criteri ambientali, sociali ed economici»; uno strumento volto in pratica a “regolarizzare” le estrazioni di gas individuando «le zone dove è consentito lo svolgimento di attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale», limitandole ad Abruzzo, Basilicata, Campania, Piemonte e Sicilia. Un piano che sembrerebbe di impedimento assoluto a nuove attività di ricerca unicamente in regioni prive di interesse minerario e in aree interdette per legge alle trivelle ben prima della sua approvazione.

Dunque proprio la Sicilia a “rischio trivellazioni”, individuata in quanto potenzialmente ricca di risorse. E un ampio fronte di associazioni e comitati aveva presto sottoscritto un appello agli enti territoriali e locali siciliani per chiedere loro l’impugnazione del Pitesai. «Non è accettabile - scrive “Italia Nostra” - che la transizione energetica del Ministro Cingolani abbia ignorato le puntuali osservazioni e argomentazioni avanzate dalla Commissione Autorizzazioni Ambientali della Regione Siciliana presieduta dal prof. Aurelio Angelini, che fa notare come l’intera superficie regionale e un’ampia area marina dal Tirreno meridionale all'estremo lembo sud del Canale di Sicilia sarebbero per legge idonee alle ricerche e trivellazioni per l’estrazione di gas; cioè la regione mediterranea più ricca di beni “patrimonio dell’Unesco”, di emergenze naturali e monumentali, ma anche fragile nelle sue coste nei versanti interni e nelle faglie profonde». «E se il vero obiettivo è l’autonomia energetica nonché il rispetto degli accordi europei sull’abbattimento delle emissioni che alterano il clima - si aggiungeva - occorre allora rivolgersi alle rinnovabili “vere”, ovvero al fotovoltaico e all'eolico sulle aree individuate ad hoc, evitando l’aggressione di aree agricole e paesaggistiche di pregio».

Su iniziativa unificante del Coordinamento nazionale “No Triv”, 24 Comuni di cinque regioni - tra cui Noto in Sicilia - hanno proposto ricorso al Tar del Lazio (contro il ministero della Transizione Ecologica, il ministero della Cultura e il ministero dello Sviluppo economico) nei confronti del provvedimento ministeriale e di tutti gli atti propedeutici che hanno portato alla sua definizione, da cui i territori si vedono minacciati; riscontrando «carenze, incongruenze e illegittimità». E nel promuovere «una forte mobilitazione unitaria per tutelare la dignità e i diritti delle persone e dei territori siciliani», contro un atteggiamento ministeriale definito addirittura «arrogante e colonialista», in tanti hanno auspicato anche il ricorso alla Corte Costituzionale, «per ristabilire il corretto rapporto Stato-Regioni proprio in materia di energia».

Quindi, comunque la si pensi, una forte opposizione ambientalista e civica alla prevista estrazione di idrocarburi in Sicilia, «per non trasformarla - è stato scritto - in un paradiso trivellato». Il termine per impugnare il provvedimento scadeva l’11 aprile; e fino alla recente “Agorà” del Pd a Misterbianco sulla transizione ecologica (con la partecipazione di qualificati deputati e di dirigenti tecnici di primo piano del petrolchimico), gli ambientalisti locali del "No Triv" sollecitavano la tempestiva impugnativa regionale, che poi non c’è stata. In realtà, in Regione - dopo la discussione all’Ars del 15 marzo - si è finito col prendere atto delle osservazioni ministeriali: «Considerato il problema dell’aumento del prezzo del gas a livello interno e internazionale, che può essere contingente o strutturale, non appena la situazione si sarà chiarita bisognerà adattare il quadro normativo relativo all’estrazione del gas alla situazione futura, per evitare un aumento eccessivo della bolletta del gas; per cui è necessario approvare subito il Piano in esame, e nell’arco di 3 mesi ci si può aggiornare con le Autonomie regionali e locali in relazione alle criticità che emergeranno». L’assessorato regionale all’Energia “rassicura” che il Piano Pitesai è comunque «una previsione di massima, su cui la Regione di volta in volta applicherà tutti i limiti e vincoli e gli eventuali divieti del caso»; e si starebbero già revisionando e chiudendo vecchi pozzi. Quindi, intanto il “Pitesai” va avanti nonostante le diffuse contestazioni; e la politica siciliana dà “trasversalmente” fiducia al Governo nazionale, riservandosi l’aggiornamento fra tre mesi con la prevista Conferenza Stato-Regioni. Non resta che attendere i risultati. In attesa delle energie alternative e "rinnovabili".

Roberto Fatuzzo

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