Il dramma crepuscolare della vecchiaia: "Le ultime lune"

"Le ultime lune" di Furio Bordon sui legni del Teatro Verga. Una straordinaria riflessione sulla vecchiaia, un grande interprete - Gianrico Tedeschi - per una "prima" povera di pubblico.

Il tempo devasta le figure, dilania gli
affetti, stende cinici balsami sulle ferite della vita. Con “Le ultime lune”
del triestino Furio Bordon, prodotto da Artisti Associati e dalla Compagnia di
Prosa Gianrico Tedeschi che lo Stabile di Catania ha messo sulle scene del
Verga, si conclude il dittico (inaugurato con “Quartet”) incentrato sulla
vecchiaia. Se nella pièce di Harwood il tema era stato tratteggiato attraverso
la consapevolezza dolceamara con cui la vecchiaia decifra se stessa, quella di
Furio Bordon (che ne ha pure curato la regia) appare certo una riflessione più
tragica, certamente più reale, quasi “eroica”: sia nell’impatto
drammaturgico con il soggetto sia nella stessa impostazione della scrittura.
“Le ultime lune” sono infatti un atipico monologo in due parti, lungo le
quali il l’anziano protagonista, professore di letteratura – uno
straordinario Gianrico Tedeschi, candido e anarchico, brontolone e malinconico,
lunatico e senilmente “mercuriale” – oscilla, aspettando il trasferimento
in una casa di riposo, tra Bach e Topolino, immaginandosi una impossibile altra
vita (eterna) nei panni di Qua, confortato solo dalla “presenza” della
compagna ormai scomparsa (Marianella Laszlo) con cui discute dell’amore che li
ha uniti e della morte che lo
attende. Col figlio (Walter Mramor) serioso e bamboccione, già da piccolo “un
pensionato in miniatura”, recita il rito del distacco con caustica ed
inattaccabile dialettica, filosofeggia sui cortocircuiti generazionali,
rimpiange il passato ovvero l’unico futuro che gli rimane. Nella seconda
sequenza il professore – più vecchio, più strampalato ma ancora lucidissimo
nella sua crepuscolare attesa della fine, vive le incoerenze di una condizione
marginale fatta di groppi, di album fotografici, di guizzi di memorie, del
siderale abbandono che sanno regalare le case di riposo nelle quali si può
stare “in compagnia “da solo”, tra pannoloni e supposte; unico sollievo
qualche fumetto, il “coro degli anziani morti” che aleggia nei tubi e una
pianta di basilico: il vaso si carica anzi (pensiamo alla vicenda della
Lisabetta di Boccaccio) di un valore simbolico, costituendo riparazione alla
morte, rinascita. Questa seconda parte che non è altro che una lunga
preparazione alla morte, è affrontata con una tensione quasi filosofica
compiuta nel finale dolente e sacro: in una atmosfera magica il protagonista
vive la sua morte nel silenzio da palla di vetro infantile nella quale nevica
una neve finta sullo sfondo di un albero natalizio e di una fiaccola accesa che
piano piano si consuma. Se per stessa ammissione di Bordon
al testo mancava una vicenda da seguire, “Le ultime lune” è in realtà
una splendida riflessione de senectute resa ancora più carica dalle
scene di Milli e dalle luci di Jurai Saleri; così come Gianrico Tedeschi - nel
ruolo che era stato di un impareggiabile Mastroianni - è l’immagine scultorea
del tempo e dell’ombra lenta dell’invecchiamento che lenta si definisce e si
completa fino alla morte. Eppure Catania non ha risposto come lo spettacolo e
l’interprete avrebbero meritato, almeno nella serata della “prima”: la standing
ovation
che ha accompagnato la prova di Gianrico Tedeschi si è alzata da
una platea immeritatamente poco affollata.

GiCo

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