I Cunfidenzi di Martoglio

Teatro del Canovaccio
I giorni 28–29–31 maggio e 1–2 giugno (feriali h.21, domenica h. 19, sabato riposo) il Teatro Del Canovaccio (via Gulli 12, trav. via Sangiuliano) presenta:I Cunfidenzi di Martoglio di Nino Martoglio, elaborazione del testo: Eliana Esposito

La passata stagione confessai, presentando la regia de I Cunti, un mio sciocco pregiudizio giovanile sul teatro di Nino Martoglio, queste Cunfidenzi vogliono simmetricamente essere invece un atto d'amore. Ciò implica naturalmente l'ammissione che questo spettacolo di fine stagione al Canovaccio, è figlio del precedente che chiudeva la stagione scorsa; questo è possibile da una parte per le condizioni di lavoro “privilegiate” del Canovaccio; è difficile oggi per un regista poter contare sulla disponibilità di uno spazio così particolare e di un gruppo di lavoro vasto, variegato e di qualità, rendo quindi omaggio a tale privilegio; l'altra condizione, per questo secondo capitolo, riguarda l'interesse per un lavoro di approfondimento delle radici culturali socialiste di Martoglio.

Nel lavoro sul testo Eliana Esposito ha concentrato ancora di più l'attenzione su quello che rimane il vero capolavoro martogliano: il giornale D'Artagnan; qui non è in discussione tanto l'interesse per il progetto editoriale di appoggio alle forze progressiste della Catania di allora, per quanto questo sia argomento affascinante ai fini di una analisi corretta della Catania di oggi, quanto la profondità di lettura di Martoglio delle dinamiche interne ai conflitti sociali, alle “dialettiche di classe” della società catanese, è qui che Martoglio ci offre una chiave per comprendere il presente, egli intuisce, da socialista, la possibilità letteraria di coniugare il “particulare” della Micro-Storia con l'Universale della Macro-Storia.

Il suo milieu culturale socialista gli permetteva la possibilità di visione, per allora abbastanza comune fra gli intellettuali ma nella omologazione contemporanea altrimenti persa o negata, delle dialettiche fra classi come motore primario ed ineliminabile della realtà. Di questo Martoglio si fa totalmente carico nel suo D'Artagnan: dal modo in cui affronta i meccanismi del comico, al modo in cui registra scrupolosamente, perfino nella grafia, le variazioni fonetiche del dialetto derivanti dalla diversa appartenenza di classe; già l'anno scorso Cosimo Coltraro lavorò su questo processo linguistico che riguarda “don Procopio 'mpallaccheri”, personaggio alle prese con una condizione storica della sua classe, pochi anni dopo l'unificazione nazionale, che si esprime compiutamente nella condizione linguistica di colui che sta a metà del guado fra “lingua madre”, il dialetto, e “lingua imposta”, l'italiano. Questa chiarezza di lettura delle crisi sociali, nel D'Artagnan ebbe modo di diventare consapevole tecnica drammaturgica, al punto da consentirgli la fase matura dei testi teatrali più famosi che portano a massimo grado tali presupposti di partenza. Non a caso l'aria del continente fu lodata in un famoso articolo dal giovane Gramsci, ma Martoglio sarebbe piaciuto molto anche a Georgy Lucaks, delle cui tesi sembra un geniale precorritore.
Ma cosa leggeva Martoglio nella stratificazione sociale cittadina che può essere utile con gli occhi dell'oggi? A mio parere la tradizionale impossibilità storica delle classi subalterne della nostra città di farsi protagoniste dei processi socio-economici, di entrare nella Storia della città, di partecipare ad un modello di sviluppo che favorisca un progresso economico diffuso; la Catania che vede Martoglio è già una città “immobile”, dove si muore nelle stessa posizione sociale in cui si nasce, e gli “umili” martogliani sono rassegnati a tutto questo. Ciò che colpisce degli scritti teatrali di Martoglio sul D'Artagnan, sono le condizioni disperate che fanno nitidamente da sfondo a tutti i personaggi poveri: colera endemico, guerre, analfabetismo, disprezzo della cultura borghese, arretratezza economica, scarsa mobilità sociale, cinico distacco dalla classe dirigente; queste condizioni sono probabilmente influenzate dal fatto che Catania è sempre stata periodicamente sconvolta da catastrofi naturali, una “città-cantiere” perennemente in ricostruzione può diventare facilmente, nel suo profondo, una città che non crede al cambiamento, alla convenienza del progresso; i sottoproletari martogliani vivono questo distacco dalla realtà che li circonda con apparente cinismo, nasce da qui il sarcasmo catanese. Martoglio intuisce la potenzialità comica di questo particolare tipo di disadattamento sociale; ecco come, ad esempio, costruisce le sue “donne del popolo”, le sue Cicca Stonchiti, Mara 'Ntrichiti 'Ntrichiti, Cuncetta a Sciabacota, Viulanti a Totina, Genia Peritunni, etc. sono donne incattivite dalla mancanza di speranza, sanno fin da piccole che l'unica possibilità di piccolo avanzamento sociale sta in un buon matrimonio, perciò trattano i figli come merce, come proprietà commerciabili secondo logiche di mercato feroci e spietate, peraltro non mancano, nel purgatorio martogliano, figure femminili come “le aspiranti canzonettiste”, donne che già allora sognavano la scorciatoia esistenziale del mondo dello spettacolo; i poveri di Martoglio possono sì, come Turiddu, arrivare a comprendere che può esserci un ideale collettivo di progresso, un'orizzonte di emancipazione, “u suggialismu”, ciononostante affidano l'unica occasione di ribellione a chi sta sopra nella scala sociale all'onore macchiato, e se il ricco e belloccio rampollo di famiglia, come in Nica, accetta di sposare la sorella compromessa, Turiddu u suggialista ripristinerà con un baciamano l'antica subalternità di classe.

Chiudo ribadendo la mia ammirazione per la potente lucidità intellettuale di Martoglio, per la nobiltà della sua condizione d'intellettuale borghese in grado di maneggiare la cultura popolare ricavandone autonomia di linguaggio. Già l'anno scorso pensavo ad un possibile parallelo tra Nino Martoglio e Pippo Fava, non solo per via della militanza intellettuale consapevolmente svolta riguardo la società catanese, ma anche per la suggestione di certe assonanze biografiche e caratteriali: il giornale, il teatro, la morte.
Martoglio e Fava, bandiere di questa città; fari, che qualcuno, prima o poi, s'incarica puntualmente di spegnere.

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