Una pace condivisa e

MISTERBIANCO - Una pace "figlia della giustizia", non imposta e senza discriminazioni. Questo è emerso dal confronto organizzato dal Centro studi "Vittorio Bachelet" di Misterbianco.

MISTERBIANCO - Una pace "figlia della giustizia", non imposta e senza discriminazioni. Questo è quanto è emerso dal confronto organizzato la settimana scorsa (venerdì 26 ottobre) dal Centro studi "Vittorio Bachelet" di Misterbianco. Sul versetto del profeta Isaia, «Forgeranno le loro spade in aratri, le lance in falci, il leone vivrà con l'agnello», si sono confrontati i rappresentanti di tre grandi religioni, uno studioso di Diritto internazionale e i portavoce di due associazioni, Lions Club e Amnesty International. Buddismo, cristianesimo e islamismo hanno concordato sul valore universale della pace, mentre il mondo sta vivendo un drammatico momento di crisi. L'azione bellica anglo-americana contro il regime talebano in Afghanistan, per risposta all'attacco terroristico dell'11 settembre, è stato lo spunto da cui il dibattito ha preso le mosse. «Tocca alla cultura dell'uomo - ha affermato aprendo i lavori Salvatore Saglimbene presidente del Centro - trovare la via per la pace».
Gli aspetti giuridici internazionali del conflitto afgano sono stati analizzati da Rosario Sapienza, docente di Diritto Internazionale presso l'Università di Catania, che ha iniziato analizzando il ruolo difficile e controverso delle Nazioni Unite nei recenti conflitti internazionali. «Non è chiaro il fondamento giuridico di ciò che accade in Afghanistan - ha sottolineato Sapienza - d'altra parte l'Onu, coprendo l'azione bellica con la risoluzione che definisce il terrorismo una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, non poteva fare altro. Quando tutto finirà si dovrà cercare una via negoziata per la pace. È difficile stimare quando "le spade verranno forgiate in aratri", ma se non si farà strada la volontà di rinegoziare la pace, senza imporla, non ci sarà vera pace».
Giovanni Condorelli, parroco della Chiesa madre di Misterbianco, citando il Papa, ha affermato la necessità che la pace sia figlia della giustizia. «Io spero che non si debbano più riconvertire gli strumenti di guerra - ha continuato il parroco -ma si progettino subito gli strumenti di pace, come si è fatto nel '900 dopo le guerre. Ma occorre andare oltre quanto sta accadendo, essere uomini di speranza che mettano semi di giustizia, così nascerà la pace».
Di semi da piantare nella mente dell'uomo e delle sue organizzazioni ha parlato anche il reverendo Pitawala Upoli, monaco buddista dello Sri Lanka, che ha messo in guardia anche dal non attribuire ai singoli gruppi, etnici o religiosi, qualità o vizi che sono dell'uomo. «L'odio non cessa attraverso l'odio - ha detto Upoli - ma attraverso la non-ira, questa è una legge eterna». L'imam della moschea di Catania, Mufid Abu Touq, lanciandosi nella difesa dell'islamismo dalle recenti accuse, ha ribadito che l'Islam non ammette il terrorismo, mentre oggi viene strumentalizzato da chi commette atti di terrore. «La pace fa parte del credo dei musulmani: essa è uno dei 99 nomi di Dio. L'Islam vuole una pace giusta, basata sulla dignità dell'uomo e non sul colore della sua pelle o sulla sua nazionalità. Il mondo si mobiliti tanto per le vittime americane, quanto per i bambini dell'Iraq, il popolo palestinese e i profughi afgani».
Un contributo al dibattito è venuto anche da Silvestro Caniglia, dirigente scolastico e rappresentante del Lions club di Misterbianco e Anna Maria Belfiore, portavoce del "Gruppo Italia 72" di Amnesty International, che hanno sottolineato l'importanza dell'associazionismo per la diffusione della tolleranza e della conoscenza.

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