l'assassinio mafioso di Padre Pino Puglisi: una testimonianza

Un caro amico palermitano, Massimiliano Mineo, ha pubblicato sul suo sito www.alberodifico.it, una testimonianza di Peppino Martinez che con padre Pino Puglisi ha condiviso anni di intenso lavoro nel quartiere "difficile" di Brancaccio. Col permesso degli autori lo ve la proponiamo su queste nostre pagine. Un occasione in più per riflettere, in questi giorni di festa, sulla fede vissuta come quotidiano impegno piuttosto che come vuota tradizione...

Non
dimentichiamo Padre Puglisi

C’è un ricordo che
rimarrà incancellabile nella mia mente: la sera del 15 settembre 1993. Una
telefonata, Suor Carolina, la direttrice del Centro d’Accoglienza Padre
Nostro, mi dice piangendo: “Pino, è morto padre Puglisi, è stato trovato in
una pozza di sangue”.Ho capito immediatamente che la mafia aveva posto fine
alla vita del nostro amico. Di
fronte ad un evento criminale di questa portata tutto viene messo in
discussione. Paura, dolore e rabbia
mi accompagnano fino all’ospedale “Buccheri-La Ferla”, dove mi sono subito
recato per stare qualche attimo vicino al mio amico di circa tre anni di
battaglie. In quel tragico
momento non ho più certezze.
Mi sembra che l’impegno civile del Comitato
Intercondominiale, condiviso pienamente e attivamente da padre Puglisi che si
riconosceva nel nostro gruppo, sia arrivato alla fine.
“Pino, il Comitato Intercondominiale non può finire”, mi disse padre
Puglisi subito dopo l’intimidazione mafiosa del 29 giugno 1993 che tre di noi
avevano subito. “Se mi uccidono non mi interessa, tanto io non ho moglie e
figli”.
Quest’altra frase la
pronunciò qualche settimana prima del suo omicidio. Ricordando queste frasi mi
sono reso conto che non potevo porre la parola fine all’attività del Comitato
Intercondominiale; così, io e gli amici del gruppo decidemmo di continuare con
rinnovata forza il nostro impegno civile per non rendere inutile il sacrificio
di un sacerdote che negli ultimi tempi si era esposto ancora di più per
proteggere le nostre vite.
I
momenti vissuti insieme con lui, le nostre battaglie civili condivise con lui,
spesso, ancora oggi, mi tornano in mente.
Mi torna in mente la prima volta che ci incontrammo.
Noi come Comitato Intercondominiale avevamo già intrapreso nel nostro
quartiere delle iniziative. Sentivamo il bisogno di non essere soli nel nostro
difficile impegno e per questo ci recammo nella nostra parrocchia (San Gaetano)
per conoscere il parroco da poco tempo arrivato.
A lui esprimemmo il nostro desiderio di essere aiutati.
Il sacerdote cercò di capire chi eravamo, da che cosa nasceva la nostra
voglia di lottare e se eravamo persone mosse da una qualsiasi appartenenza
politica che volevano coinvolgerlo. Resosi
conto che eravamo abitanti del quartiere, semplici cittadini che vivevano sulla
propria pelle i drammi sociali di un territorio emarginato dalle istituzioni,
cominciò a collaborare con noi. Abbiamo
acquisito più sicurezza da quando il nostro parroco ci disse che potevamo
contare su di lui tutte le volte che lo ritenevamo necessario.
Iniziò anche la nostra collaborazione nelle attività parrocchiali e del
Centro d’Accoglienza Padre Nostro che ci vedeva stare accanto agli anziani ma
anche seguire le attività di socializzazione dei bambini a rischio e mantenere
rapporti con i giovani di Brancaccio ospiti del carcere minorile Malaspina e le
loro famiglie.
Molti sono
stati gli incontri con le Autorità istituzionali locali per chiedere di
realizzare nel quartiere la scuola media, il distretto socio-sanitario di base e
altri servizi. Abbiamo affrontato gravi emergenze, come quella dell’epatite
virale che verso la fine del 1991 mobilitò molte mamme per alcuni casi
clinicamente accertati. Abbiamo
organizzato nel maggio del 1993 un corteo antimafia con fiaccolata, la prima
volta per le strade di Brancaccio, in occasione del primo anniversario della
strage di Capaci. Nel luglio del
1993 una manifestazione sportiva, rivolta ai bambini e alle bambine, per le vie
di Brancaccio in ricordo di Borsellino e della sua scorta, con premiazione alla
presenza di familiari dei caduti nella lotta contro la mafia.
Altre iniziative ancora: la nostra lettera al Presidente della Repubblica
per denunciare lo stato di abbandono del quartiere da parte delle istituzioni
con conseguente controllo della polizia sull’attività del Consiglio di
Quartiere in relazione alle richieste di ordine sociale del nostro comitato.
In seguito ad un nostro incontro con il Sindaco nel febbraio del 1993 vi
è stato l’intervento dei vigili del NOPA che hanno tolto l’uso dei
magazzini della Via Hazon 18, in condizioni di estremo degrado, agli abusivi che
lì svolgevano, sotto gli occhi di tutti, attività illecite.
L’interrogazione parlamentare al governo regionale dei primi di giugno
del 1993 che sollecitò un’ispezione sulla politica degli alloggi di proprietà
del Comune di Palermo, 200 e forse più a Brancaccio.
Il contatto di padre Puglisi con la Commissione Antimafia, nell’agosto
del 1993, per preparare l’incontro riservato con il Presidente Violante per
sollecitargli la realizzazione della scuola media, del distretto socio-sanitario
di base e denunciare lo stato di abbandono del quartiere da parte delle
istituzioni. Una serie di
iniziative, che dimostravano un impegno quotidiano, sotto gli occhi di tutti, di
persone capaci di non cedere ai corteggiamenti politici che avrebbero creato
spaccature tra gli abitanti e pertanto un indebolimento del nostro tipo di
impegno. I cittadini di Brancaccio
sentivano il bisogno di affrontare dentro una casa senza steccati problemi
sociali, come il degrado urbano della nostra periferia e la mafia, che offendono
la dignità di tutti e quindi hanno bisogno della partecipazione di tutti. Le
iniziative intraprese hanno avvicinato padre Puglisi e il suo Comitato
Intercondominiale sempre più alla gente del quartiere e gradualmente si
incrementava la richiesta di partecipazione alle attività sociali e
parrocchiali.
Ciò ha
infastidito non poco l’ambiente politico-mafioso di Brancaccio che vedeva
affermare nel suo territorio modelli di cittadino e di prete capaci di lavorare
in perfetta armonia.
Padre
Puglisi, un prete che ha svolto la sua missione con coerenza, un servo di Dio
che si sforzò di condurre anche il mafioso a riconoscersi nella fede cristiana
e non in quella proclamata dalla mafia che ha travisato il messaggio cristiano.
Essere fedeli a Cristo per padre Puglisi ha significato credere nella
giustizia, essere contro ogni forma di violenza. Per la chiesa di padre Puglisi,
aperta alla redenzione di chiunque, essere fedeli a Cristo ha significato
soprattutto non essere contro l’uomo.
Pertanto tentare il recupero spirituale
della persona mafiosa o intrisa di cultura mafiosa lo sentiva un suo dovere.
Ecco perché non amava essere definito “prete antimafia”.
Egli amava scendere tra la sua gente, cercava di capirne i bisogni,
tentava di risolverli. A noi ci
invitava alla preghiera perché, sosteneva, con l’aiuto di essa potevamo
trovare la forza e la volontà di continuare nel nostro impegno civile.
Una forza ed una volontà che ci hanno reso capaci di instaurare rapporti
cordiali e collaborazione fra la gente della borgata; di avere incontri con le
Autorità cittadine; organizzare petizioni ed assemblee; di affrontare e
condurre fino in fondo i difficili problemi di vivibilità che mano a mano si
presentavano nella nostra zona.
Tutto ciò ha fatto della parrocchia di padre Puglisi il centro delle
speranze di tanta gente che chiedeva un avvenire migliore lì a Brancaccio.
Con l’omicidio di
padre Puglisi non finisce l’impegno del Comitato Intercondominiale. Ho curato
personalmente una memoria nella quale ho ricostruito la storia di padre Puglisi
e del nostro gruppo dal 1990 al 1993 e l’ho messa in rete internet
all’indirizzo www.angelfire.com/journal/puglisi.
Siamo stati testimoni nei dibattimenti processuali nei quali abbiamo contribuito
a ricostruire nei particolari gli eventi e l’ambiente in cui è maturato
l’omicidio del sacerdote. Il 23
ottobre del 2002 ci siamo
costituiti “parte civile” contro i fratelli Graviano, i boss mafiosi di
Brancaccio, e i loro killer perché il 29 giugno del 1993, due mesi e mezzo
prima dell’omicidio di padre Puglisi, hanno dato fuoco alle porte delle
abitazioni di tre componenti del nostro comitato (Romano, Guida, Martinez) per
intimidirci ed indurci a porre termine al nostro impegno civile svolto con la
collaborazione del nostro parroco. Ci sembra il modo più giusto e coerente da
parte nostra di ricordare padre Puglisi. Bisogna continuare per quella stessa
strada che insieme al nostro parroco abbiamo percorso se vogliamo sperare di
liberare la nostra società dalla mafia e dai politici corrotti.
Quella mentalità
abbastanza diffusa in Sicilia che porta a credere che con la mafia purtroppo
bisogna convivere non può essere accettata, noi non l’abbiamo accettata.
Con
la nostra azione abbiamo tracciato un confine a Brancaccio. Abbiamo fatto capire
in modo chiaro da che parte noi eravamo schierati: dalla parte della legalità e
della giustizia, e al mafioso che ostenta la sua presenza in chiesa, con la
nostra testimonianza di vita gli abbiamo detto che siamo dalla parte di quel
Cristo che per noi si e` fatto uccidere e non ha ucciso.
Noi siamo stati intimiditi e padre Puglisi muore perché soli, mentre
agli occhi degli abitanti di Brancaccio cominciavano ad affermarsi nuovi modelli
di condomini, lavoratori, genitori, parrocchiani, gente semplice disposta ad
impegnarsi per la difesa della propria dignità e dei propri diritti.
Con questo modo di operare e collaborare gradualmente stava formandosi a
Brancaccio una nuova coscienza. Oggi la mafia continua, come ieri, a fare paura
e la corruzione e` ancora forte. Se e` vero che in quei
tre anni a Brancaccio quell’esperienza stava consentendo di raccogliere
dei buoni frutti (altrimenti sarebbe incomprensibile la violenta reazione che vi
e` stata), perché la società civile, la classe politica, la Cultura e la
Chiesa non operano per fare si che non sia dimenticata questa esperienza di
contrasto alla mafia ? Una esperienza che nasce spontaneamente da gente comune e
da un prete non comune, che va compresa veramente fino a diventare patrimonio
delle coscienze dei nostri giovani e della società tutta.
C’e`
tanto da fare. Padre Puglisi si e` esposto per salvare le nostre vite e noi non
possiamo permetterci di pensare di convivere con la mafia. Nel suo nome
continueremo a testimoniare che la mafia e la corruzione possono essere
sconfitte e noi ne siamo stati testimoni. Ma non possiamo essere in pochi a
pensare ed operare in questo modo!

Pino
Martinez
dell’Associazione Intercondominiale Quartiere Brancaccio

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