La maestra e il diavolo. Ricordato Giuseppe Fava, quello scomodo

Una giornata di studi per non dimenticare l'impegno di Giuseppe Fava "terminato" per mano mafiosa. Una giornata che mette in luce il romanziere, il drammaturgo ed il pittore organizzata dalla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell'Università di Catania, in collaborazione con la Fondazione Fava e l'IMES Sicilia.

“I Siciliani vuole essere il documento critico di una realtà meridionale che
profondamente, appartiene a tutti gli italiani. Un giornale che ogni mese sarà
anche un libro da custodire. Libro della storia che noi viviamo. Scritto giorno
per giorno". Quasi vent’anni ci separano da queste parole, con le quali Giuseppe Fava apriva il
primo editoriale del suo “I Siciliani”.
In
principio dunque era solo il giornalista: d’assalto, d’impegno vissuto
pericolosamente fino all’epilogo tragico dell’assassinio mafioso. Adesso la
città che non sempre ne ha riconosciuto valore e pienezza – anzi lo ha
catanesemente ignorato se non fosse per l’intitolazione di una via, e le
ghirlande sulla lapide per gli anniversari sempre meno affollati - riscopre
anche il Fava “intellettuale” poliedrico, uomo di scrittura, di teatro, di
cinema, pittore anche. Una riscoperta inaugurata nella città dell’elefante da
“Cronaca di un uomo”, la pièce dello scrittore catanese, prodotta dallo
Stabile catanese che ha aperto lo scorso novembre la stagione del Teatro Musco.
Insomma questa “riscoperta” ufficiale culmina con “La maestra e il
diavolo” la giornata di studi tra le Biblioteche Riunite Civica e Ursino
Recupero del Monastero dei Benedettini, pensata dalla Facoltà di Lingue e
Letterature Straniere dell’ateneo catanese in collaborazione con la Fondazione
Fava e l’Imes (Istituto Meridionale di Storia e Scienze Sociali) di Sicilia.
E’ lo stesso Antonio Pioletti, preside di facoltà, a chiarire i termini di un
incontro che lungi dal mitizzare Fava “serve invece a richiamare, a non
rimuovere: nessuna finalità - precisa - d’imbalsamazione o di
beatificazione”. Se nel corso dell’intensa mattinata le voci di Mariella Lo
Giudice e di Pippo Pattavina ne hanno evocato le pagine più intense, è toccato
prima a Pietro Barcellona tracciare un profondo percorso concettuale incentrato
su “Fava e la sicilitudine”; a Nunzio Zago esplorarne la produzione
narrativa, segnata da implicazioni antropologiche-esistenziali pur
nell’impianto tardo verista o neorealistico dei suoi romanzi. Fava
“giornalista” e “Catania, l’inchiesta Fava” sono stati i temi al
centro delle riflessioni di Sebastiano Messina e di Adriana Laudani, culminate
nella proiezione del video di Vittorio Sindoni “Giuseppe Fava: un siciliano
come me” e nell’accorata ma dignitosissima testimonianza di Elena Fava. Nel
pomeriggio Giuseppe Frazzetto ha esplorato nel corso di uno scorrevole
contributo la pittura di Fava che non rappresenta affatto un caso anomalo: si
pensi ad Hugo o a Zavattini. Nel delinearne la chiave di lettura Frazzetto ha
parlato di intimo “teatrino”, di promemoria personali, di caratteri, di
tipi, di stati d’animo che illuminano anche la sua produzione letteraria. Tra
le attente ricognizioni letterarie di Dario Consoli e Marzia Finocchiaro la
riflessione più dirompente è quella del giornalista Antonio Roccuzzo. Circa
l’esperienza de “I Siciliani” punta il dito sulla rappresentazione
rassicurante, lacunosa, silenziosa della stampa isolana di allora: il contrario
del giornalismo che è parola. Noi abbiamo raccontato – continua - ciò che i
giornali clamorosamente non raccontavano: da questo piccolo segreto
professionale è nata quell’esperienza unica di giornale interamente
siciliano”. Per Roccuzzo quella continua ad essere “l’unica forma di
giornalismo possibile, anzi il giornalismo. Oggi è un problema di mercato: qui
in Sicilia non esiste mercato dell’informazione perché non esiste un
pluralismo dell’informazione: forse Catania è la stessa di vent’anni, fa
anche ci sono intellettuali che fortunatamente cominciano a ragionare sulla
realtà che li circonda”.

GiCo

tags: