C'era una volta il PCI. Un clic malinconico sul panorama politico del Paese di Renzusconia

C'era una volta il PCI - MisterbiancoNon si produce più politica nella cosiddetta “azienda Italia”, rinominata “RENZUSCONIA”, dove i suoi Palazzi istituzionali diventano residenze delle vacuità personali e di scampoli di una classe dirigente sguarnita di codice etico, di spirito legalitario e di senso dello Stato. Una leadership di nominati che non sa mettere nulla in pratica se non l’intenzione di prendere il potere sulle macerie, quasi un revival di quello che già è avvenuto meno di un secolo fa.

Le dimissioni di Letta, infatti, accompagnate dall’ipocrisia delle lodi di chi prima lo aveva voluto premier, lasciano spazio a tante negative interpretazioni, derivanti da quell’incomprensibile atteggiamento del PD che, mentre da una parte votava fiducia ai provvedimenti di governo, dall’altra parte giudicava fallimentare l’attività dell’esecutivo sino a riproporre poi un nuovo governo presieduto dal novello segretario Matteo Renzi con la stessa maggioranza e la stessa fallita ricetta liberista.

La spiegazione sta nel fatto che il PD è un partito senza passato. Esso è la degenerazione dei mutamenti di sigla del glorioso PCI susseguitisi dopo la svolta della Bolognina del novembre ’89.

Divenne PDS nel ’91, poi DS nel ’98, infine nel 2007 c’è lo scioglimento e, dalla fusione DS e Margherita, nasce il PD. Già con la svolta della Bolognina si era avviata la prima fase di trasformazione e nel 2007 il PD, cancellando i riferimenti di quella Sinistra che ha fatto la storia d’Italia, dilapidava un patrimonio storico, umano e politico, depotenziando e rendendo anemica la formazione politica della sua nuova dirigenza generazionale costretta ad infrangersi sugli scogli del deteriore politicismo prodotto da quella fusione con forze estranee ed antagoniste.

Talmente anemica la sua dirigenza che non sono riuscito mai a considerare il PD inquadrato nell’area di sinistra. Certamente non parlo di tutto il PD, ma di alcune correnti le peggiori che un partito di centrosinistra possa partorire.

L’entrata in scena dell’investitura di Matteo Renzi, indispensabile esperto a puntare il pallino sulla “ruota della fortuna”, diventa così un pericoloso gioco all’azzardo accompagnato dall’applauso di chi non ha voluto scorgere il rischio che il Paese affonda nelle sue contraddizioni, ignorando che la rivoluzione “renzina”, senza alcuna caratteristica ascrivibile ai grandi temi della Sinistra, altro non può produrre se non la ricostituzione di correnti per i posti di potere. Fenomeni che nei fatti ricalcano le faide interne della vecchia DC e che trovano nel sedicente “rottamatore” Renzi, travestito di sinistra, l’emulazione di idee, forme e strategie dei suoi predecessori dello scudo crociato.

La squadra vincente del rinnovamento d’ispirazione renzista, infatti, non esita ad esordire le prime intemperanze di potere con illeciti condizionamenti prima sul governo Crocetta-bis per la formazione della nuova Giunta Regionale; poi ancora sul caso di MOTTA S.ANASTASIA che, rievocando l’anomalia di quel che accadde alle ultime elezioni comunali di MISTERBIANCO, vedrebbe ancora divisi e antagonisti altri due candidati Sindaci (Danilo Festa, ex segretario e forte espressione del Circolo PD locale e Daniele Capuana, il cui curriculum di militanze va dalla lista Dini ad Alleanza Siciliana fino al Mpa di Lombardo, poi nella Giunta di Castiglione in quota PdL ed ora in campagna elettorale con tessera PD).

Ma c’è anche di “meglio”. Il presidente del Consiglio Renzi, nonchè Sindaco di Firenze e segretario del PD, chiama “destra” l’intransigenza di quella sinistra che rifiuta i compromessi con Berlusconi in declino. E lui, invece, per infornare “controriforme” e modifiche alla Costituzione, ci porta ancora sulla scena le ambiguità di quest’uomo ottantenne con una condanna alle spalle(gravissima ma quasi graziata) e per di più con altre in corso di pronunciamento.

Si pensava che con la chiusura a Berlusconi ci saremmo liberati di quegli indugi, manovre sottobanco, compravendita di deputati e larghe intese. Col simulatore Renzi ci ritroviamo ora con una riforma elettorale scellerata che, concordata in coppia di fatto con un pregiudicato, penalizza le forze politiche cosiddette “minori “ ma votate da milioni di italiani. Insomma un gioco politico che, grazie all’ingenuità di un elettorato indulgente con i furbi ma poco incline a premiare gli integri, potrebbe con molta probabilità farci sorbire ancora per un altro ventennio governi oligarchici senza democratiche rappresentanze in un Paese dove il Machiavelli non è stato compreso bene nei suoi reali intendimenti di svelare allo sprovveduto popolo gli inganni della spietata meccanica del potere.

Ammetto di avere pregiudizi su Matteo Renzi e mi sforzo di evitarli, ma quando mi tornano penso con rabbia agli errori e all’inerzia di quei progressisti che, resi docili e fatti accomodare nei salotti predisposti dalle lobbyes della classe dominante, si sono logorati in tatticismi di prevalenze in quella innaturale “consociazione” di opposte tendenze, dimenticandosi dell’appuntamento con la Storia e spianando all’arrampicatore fiorentino il percorso ai massimi vertici del PD e dello Stato per completare il progetto controriformatore della vittoria del capitale sul lavoro.

Spero che abbiano il tempo di poterne meditare le conseguenze, di cui la realtà più amara resta, purtroppo, quella di un sistema in cui l’economia non solo domina la politica, dettandole agenda e decisioni, ma l’ha posta al di fuori delle sue competenze e del controllo democratico, al punto che il cambio dei governi (D’Alema, Berlusconi, Prodi, Monti, Letta ed infine Matteo Renzi) non modifica più gli indirizzi di politica economica tesa a imporre al sociale il rapporto di subalternità che è nella regola costitutiva del sistema capitalista.

Le cose certe sono che le classi sociali ancora esistono, le ingiustizie sono in aumento ed il malessere cresce col rischio di veder morire di malinconia quella autentica e rispettabile Sinistra di mia generazione che, nonostante i suoi grandi meriti, non è riuscita a soddisfare l’antica promessa di giustizia e di equità, ma che sicuramente non vuole finire democristiana.

Enzo Arena
www.webalice.it/arenavincenzo

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