Per vivere ancora - Prefazione

"Per vivere ancora" non è un romanzo, anche se a tratti ne ha il ritmo e il respiro, e non è un semplice diario, anche se gli eventi sono narrati con precisione cronachistica e con partecipazione emotiva. E' piuttosto la lucida testimonianza di un percorso umano e di una precisa fase storico-sociale; una testimonianza che non necessita di acquirenti o spazi pubblicitari, ma soltanto di orecchie disposte ad ascoltare e di una memoria disposta a custodire...

"Per vivere ancora" non è un romanzo, anche se a
tratti ne ha il ritmo e il respiro, e non è un semplice diario, anche se gli
eventi sono narrati con precisione cronachistica e con partecipazione emotiva.
E' piuttosto la lucida testimonianza di un percorso umano e di una precisa fase
storico-sociale; una testimonianza che non necessita di acquirenti o spazi
pubblicitari, ma soltanto di orecchie disposte ad ascoltare e di una memoria
disposta a custodire.
Ho letto il libro di mio padre tutto d'un fiato, con la curiosità di chi vuole
appropriarsi delle proprie origini, l'imbarazzo di chi spia attraverso il buco
di una serratura, la paura di conoscere ciò che magari si preferisce rimuovere.
Ma è stato solo il disagio di un momento. Alla fine non scopro eclatanti
novità, ma avverto una maggiore vicinanza spirituale ad un uomo che è anche
mio padre, un padre che, con tenace timidezza e malsopito rancore, amo.
Ma eccomi caduta nel tranello del facile sentimentalismo! Sapevo che sarebbe
successo e non mi è concesso, visto che la mia funzione deve essere quella
asettica di chi stila la prefazione di un testo letterario.
Dunque ricominciamo.
Nella finzione narrativa, l'autore protagonista, tal Natale Motta, dialoga con
un demone perverso che insinua dubbi e propone lusinghe alla sua turbata
senilità. Fortemente tentato, accetta di scendere a compromessi con la propria
coscienza rinnegando i valori in cui aveva creduto, ma chiede al demone il tempo
necessario per ripercorrere le tappe fondamentali della propria esistenza, per
vedere fino a che punto la coerenza e la correttezza abbiano influito
negativamente sulla qualità della vita. Inizia così il lento srotolarsi del
nastro della memoria che affonda nell'avventuroso racconto del fidanzamento dei
genitori, Agata e Pietro, per riemergere in un'infanzia spensierata tra le
polverose vie di Misterbianco, animate da singolari personaggi, e gli angusti
cortili della sconfinata terra d'Argentina, prodiga di corpose bistecche e
profumate banane; la memoria attraversa liti con bulletti di paese, piccoli
sacrifici legati a condizioni economiche non troppo rosee, episodi legati alla
dittatura per poi soffermarsi sull'epico resoconto della disfatta militare dopo
l'otto settembre e dell'estenuante rientro in famiglia con compagni di viaggio
ritratti in modo nitido e palpitante. Quindi l'amore, vissuto e subito soffocato
per eccesso di razionalità, le esperienze professionali e quelle private, il
felice matrimonio, alcune considerazioni sparse sui mutamenti sociali, economici
e politici, qualche perplessità sulla direzione che le nuove generazioni hanno
imboccato. Lo stile è misurato e chiaro, improntato alla severa lezione dei
classici, ma a volte si concede qualche impennata, laddove l'urgenza delle
passioni preme e si condensa in periodi brevi e singhiozzanti, i più autentici
e felici proprio per la loro immediatezza.
Frattanto il demone è accucciato in un angolino, pronto ad intervenire per
ironizzare sulle scelte dettate dalla buona coscienza, nella speranza di
concludere al più presto il suo patto scellerato. Eppure, quando il lungo
flashback si conclude, di esso non c'è più traccia; si è dileguato o si è
nascosto tra le pieghe di una vita non esaltante ma onesta e pulita.
E allora, per continuare il gioco, mi arrogo il diritto di assumere il ruolo del
demone-giudice e di formulare nuove accuse, pur nella consapevolezza della più
assoluta mancanza di imparzialità. L'autore ha peccato di indulgenza nella
valutazione di se stesso, e posso confermare l'assunto, almeno per ciò di cui
sono diretta testimone. Si definisce "padre rigoroso" e soddisfatto si
promuove a pieni voti. Io aggiungerei "assente" nelle piccole cose
quotidiane che fanno cara o difficile la vita; ma forse mi sbaglio, perché la
sua presenza era tanto incombente da dover essere filtrata e mediata dalla dolce
autorevolezza di mia madre; ci ha passato il suo amore paterno da sotto la
fessura, con pudore e distacco, ritenendo forse una vergognosa debolezza
consegnarcelo a viso aperto.
Ma non c'è colpa in ciò che è determinato dalla nostra indole e la mia
severità è la stessa che uso per me stessa, a lui così simile nell'anima e
nel corpo.
Questo grosso volume, che l'uomo Natale Motta ha creduto il trastullo di
un'inquieta vecchiaia o il tentativo di esorcizzarla, è un inconsapevole,
grande, gratuito gesto d'amore, anche se "per vivere ancora" in noi -
figli, nipoti, amici - non era necessario scriverlo.
Comunque, grazie.

AgMo

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