"Io e molti credenti crediamo che così avete perduto autorità. Molti si allontanano dalla Chiesa per la vostra morale elastica"
Anniversario della scomunica ai comunisti
Il 1 luglio 1949 l’allora Sant’Uffizio emise un decreto di scomunica contro i comunisti, per dirla in modo semplicistico e non esatto esegeticamente. Il testo infatti non è d’immediata lettura ed esige una interpretazione da un punto di vista teologico. Ciò che però qui conta non è l’interpretazione storica, ma come il documento fu tradotto «pastoralmente» nella Chiesa delle parrocchie. Qui si consumò il dramma perché vescovi e preti non fecero alcuna distinzione tra errore filosofico-teologico e prassi quotidiana: le masse che votavano Pci non sapevano niente dell’ateismo dialettico e di Marx, ma votavano per un partito che secondo loro faceva gli interessi dei poveri e dei lavoratori che vivevano a livello di schiavi.
Votare Pci era una speranza di riscatto. Di fatto fu scomunicata quasi la metà degli stessi cattolici e circa 10 milioni (uno più uno meno) di battezzati. I più lungimiranti giudicarono il documento un errore storico e teologico, come di fatto poi si dimostrò: la chiesa perse il mondo operaio a acquisto la Confindustria. Secondo voi chi ha perso e chi ha guadagnato? Ha perso la Chiesa che si alienò le masse operai, contribuendo così alla secolarizzazione selvaggia che si sviluppo a partire dall’economia gestita in favore delle classi abbienti con qualche briciola per i poveri e i proletari che però restavano carne da macello per il militare, le guerre, le tasse certe e il disprezzo della persona umana. Erano i tempi in cui la violenza sulla donna era considerato un vanto da maschio e l’omicidio per tradimento un delitto d’onore a favore del maschio. La gerarchia di allora si schierò acriticamente con il capitalismo che fu una delle cause della scristianizzazione di massa.
Cronaca di una scomunica mancata
E’ facile fare un paragone. Se il Vaticano ha scomunicato i comunisti perché di fatto negavano Dio e qualsiasi riferimento etico a Lui, come mai la stessa gerarchia oggi, a distanza di 60 anni, non scomunica il «berlusconismo» che è peggiore di qualsiasi comunismo, fascismo ed eresia messi insieme? I comunisti doc dicevano: Dio non c’è; Beluskonijad dice: A me di Dio e della Chiesa me ne può interessare meno che meno; a me interessano solo i preti con cui fare affari per avere i voti loro e di quelli che controllano: il resto è panissa per poveracci. Berluskonijad è ateo e spergiuro: va al family day a difendere l’unità della famiglia, lui divorziato ed esperto visto che ne aveva due e poi si riempie le ville di prostitute e pagamento che premia con un posto al parlamento, riservando alle più brave in opere pie d’alcova la nomina di ministro. Il parlamento è la paga del pappone alle meritevoli e impegnate. Quante volte ha detto che lui non dormiva mai, perché lavorava per il Paese? Ora lo sappiamo (Repubblica del 29 giugno 2009) passava le notti a fare il mandrillo e docce gelate e tra un colpetto a dritta e uno a manca, si ricordava di fare qualche telefonata da presidente del consiglio.
Di fronte a questo ateismo teorico e pratico che fa mercimonio dei principi a cui dice di ispirarsi, come mai i vescovi hanno indossato la palandrana delle solenni occasioni e non l’hanno dichiarato «scomunicato»? Costui ha preso le cose sacre e le ha buttate ai porci, ha sporcato tutto quello che ha toccato, ha fatto e fa i gargarismi con i principi cristiani, ma poi frequenta le minorenni (parola della seconda moglie), è l’utilizzatore finale della filiera della prostituzione che sosta in modo permanente nelle sue ville (parola del suo avvocato, pagato da noi in quanto parlamentare e vero ministro dell’ingiustizia); compra le donne a camionate e le scarica a badilate.
I fatti che emergono giorno dopo giorno aggravano sempre più le circostanze e il capo del governo italiano, si difende nella sua protervia con: «la gente mi vuole così», confondendo voti e interessi con la democrazia che è il limite e il parafulmine dell’assolutismo.
Intanto i vescovi tacciono e io credo che non possono fare altro perché non sanno che pesci pigliare: qualsiasi cosa dicano “ora” sarebbe sbagliata perché fuori tempo massimo e perché buon’ultima dopo la reazione in massa del loro stesso popolo. Penso che i vescovi hanno una sola via d’uscita che gli offro gratis et amore Dei: Scrivere un documento di una paginetta e andare a leggerlo in tv riunite in mondovisione. La paginetta dovrebbe avere questo tenore:
La risposta del vescovo Bagnasco che avrei desiderato, ma che non è mai arrivata
«Noi vescovi d’Italia abbiamo sbagliato e chiediamo perdono al popolo di Dio che abbiamo lasciato nel dubbio e nel disorientamento di fronte al comportamento indecoroso del presidente del consiglio, Silvio Berlusconi. Concedendogli un credito che non meritava, siamo caduti come sempliciotti nella sua rete d’inganni e di manipolazione. Troppo tardi ci siamo accorti che tutte le sue concessioni politiche, legislative ed economiche erano solo le briglie che egli ci teneva addosso per impedirci di parlare e di guidare il nostro popolo che invece lo ha seguito incantato dalle sue promesse mirabolanti, ma senza alcun fondamento. Egli, ormai è dimostrato, ama la bugia e la crede verità. Ha usato con protervia e spudoratezza le sue tv e quelle pubbliche per creare il consenso attorno a lui, senza rispetto alcuno per le Istituzioni, la Magistratura e il senso dello Stato di cui ha dimostrato di esserne privo del tutto. Oggi alla luce dei fatti emersi che hanno confermato parola per parola e aggravato quanto detto dalla seconda moglie, Veronica Lario, abbiamo visto la sollevazione del nostro popolo che chiede a gran voce una parola su questi eventi e sulla persona che li ha messi in atto. Siamo rimasti colpiti dalle reazioni del popolo di internet che ha saputo metterci a disagio.
«Comprendiamo che la nostra parola di oggi non ha lo stesso effetto che poteva avere un mese o due mesi or sono; comunque non possiamo più tacere e dichiariamo che il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, è fuori della Chiesa cattolica (se mai vi è stato dentro); è spergiuro secondo la morale cristiana come lui stesso ha dimostrato, fornendo versioni diverse dello stesso fatto, dopo avere giurato sulla testa dei suoi figli; è menzognero con l’aggravante delle recidività; è ignobile perché frequenta minorenni; è un pericolo per le istituzioni statuali perché ha saputo solo fare i suoi interessi e non quelli del popolo. Noi lo ripudiamo e restituiamo i favori che ci ha concesso, anche illegalmente, perché vogliamo recuperare la stima del nostro popolo che, sentiamo, ce l’ha ritirata da un pezzo.
«Dichiariamo che il berlusconismo è incompatibile con il cristianesimo e pertanto come sessanta anni fa dicemmo che era peccato votare comunista, oggi per essere giusti dobbiamo dire che un cattolico non può votare Berlusconi o i suoi alleati e considerarsi ancora cattolico. Chi vuole può votarlo perché non è nostra competenza dare indicazioni di voto, ma è nostro dovere dire che il cristianesimo è incompatibile con tutto ciò. Pertanto liberi di votarlo, ma per coerenza bisognerebbe anche sbattezzarsi.
«Poiché non siamo stati capaci di esercitare la profezia, ma siamo stati attenti alla diplomazia conveniente, mentre ripudiamo l’uomo e lo abbandoniamo al suo destino, chiediamo che il presidente del consiglio rassegni le dimissioni immediate e si ritiri a vita privata a fare penitenza per redimersi da tutti i misfatti che ha fatto a danno della nazione. Egli deve chiedere pubblicamente perdono alle donne che considera meno che una proprietà da diletto e deve riparare al danno, dando due terzi dei suoi averi allo Stato perché li impegni in campo sociale e assistenziale.
«Da parte nostra, noi vescovi del consiglio direttivo della Cei, ci dimettiamo in blocco e lasciamo ad altri il lavoro di guida e di stimolo del popolo di Dio. Le dimissioni sono un segno che vogliamo cambiare strada e intraprendere il cammino della verità e della libertà insieme al nostro popolo e mai contro di esso. Ultimamente ci siamo anche resi conto che di fatto noi, vescovi, abbiamo divorziato dalla nostra Chiesa, perché andavamo per una strada dove nessuno ci seguiva perché il nostro popolo aveva preso la direzione opposta. Sì, per noi è una conversione «a U», ritorniamo sui nostri passi e questa volta per non sbagliare non ci poniamo più alla testa del popolo, ma molto più umilmente ci poniamo al suo seguito, certi che lo Spirito guiderà l’uno e gli altri verso la mèta comune del Regno, di cui la società in terra è un anticipo e un assaggio. A tutte e a tutti un abbraccio insieme alla nostra richiesta di perdono».
(Angelo Bagnasco, vescovo di Genova e Presidente della Cei)