Misterbianco 1950-65 II: Gli anni eroici del calcio a Misterbianco

Vito Arena Ciao a tutti e benvenuti al secondo appuntamento di “Misterbianco 1950-65”. Ai giovani misterbianchesi amanti del calcio, calciatori e tifosi, quanto racconterò oggi sembrerà quasi impossibile che sia successo, ma se avranno la pazienza di andare fino in fondo alla lettura non potranno che ricredersi e, oltre che sbalorditi, forse finiranno per ammirare i ragazzi di allora, loro antenati, dopotutto. Antenati è la parola giusta; perché io, uno fra i più in vista di quei ragazzi, potrei essere davvero per età nonno di un giovane calciatore misterbianchese di oggi! E, in ogni caso, i cinquantenni e sessantenni della nostra Comunità potrebbero confermare ciò che dirò. Sarà più facile il mio racconto e più conveniente per la sua comprensibilità dividerlo in alcune sezioni, esaminate una alla volta, ma che alla fine mostreranno la vera, completa, commovente immagine del piccolo “mondo calcistico” di Misterbianco 1950-65; eccole: I terreni di gioco - I calciatori - Le Società -Calcio/Famiglie/Comune.

I terreni di gioco – Una doverosa premessa, necessaria per spiegare quanto segue. Nel 1951 avevo sette anni, mi sono sposato giovanissimo nel 1966 e sono andato ad abitare ad Augusta; ebbene: per tutti quei sedici anni Misterbianco non ebbe mai non dico uno stadio di calcio ma neppure un piccolo, modesto, regolare campo di calcio per i suoi ragazzi! Allora, niente passione per questo sport??? Quando Paternò, Adrano, Belpasso e tanti paesi etnei avevano già un piccolo stadio o campo di calcio, il nostro Paese non ebbe mai niente da offrire ai suoi giovani! …Ma, siate pazienti, continuate a leggermi e seguirmi e scoprirete quanto amore per il calcio ebbero quei giovanissimi misterbianchesi, fossero praticanti o tifosi; già, proprio i vostri antenati. Io li vorrei considerare “ giovani eroici pionieri del calcio”; giudicherete voi stessi, amici, in base a quello che apprenderete da questo racconto. Niente campo di calcio regolare, nessun problema! Questi i nostri “terreni di calcio” (si fa per dire, certo): lo stadio “du cora ghesa” (sagrato della Matrice) per i ragazzi “da chiazza”; lo stadio “do munimentu”, sempre per gli stessi; lo stadio “do campu ‘i Monacu” per i ragazzi “da stazzioni” (era uno spazio sterrato prospiciente su via Galliano e via Matteotti, dove ora sorge l’Ufficio Postale). Prima di passare ai primi campetti di calcio rudimentali, da noi stessi approntati, chiaramente, vorrei ricordare come si giocava in quei “nostri terreni”. Il “cora ghesa”, come ancora oggi, aveva la forma a elle (L), a tutto campo le squadre giocavano con una porta davanti il frontale della Sacrestia e con l’altra davanti l’abitazione del Parroco; dunque, lato ovest e lato sud (la facciata principale) della Chiesa, con le due file di alberi delimitanti i due spazi e relativi sedili in ferro. Che passione, che foga, che cadute, ma quanto spasso anche giocare lì e correre avanti e indietro e attorno a quegli ostacoli, gridando sempre e forte, spesso anche di tutto, non propriamente adatto ad essere sentito in quel luogo pur sempre consacrato! Per nostra fortuna la Matrice ha sempre avuto degne figure di preti e parroci, che ci lasciavano fare perché frequentavamo quella Chiesa e, come tutti i Misterbianchesi, l’amavamo insieme al Suo Proprietario…Ma il più delle volte si giocava a metà campo, lato ovest, fra il campanile e il municipio vecchio. Ci furono spesso tanti vetri rotti delle finestre delle abitazioni; inoltre, molti palloni, quasi sempre piccoli e di gomma o plastica finivano oltre i tetti delle case attorno, e spesso non fu possibile recuperarli…! Molto simili a queste partite di calcio (meglio sarebbe dire a calcetto, forse…, ma allora il calcetto a 5 non era ancora nato) quelle che si disputavano “o munimentu”: una porta davanti casa Crisafulli e l’altra di fronte (uno dei due pali era quello che reggeva i fili elettrici), spazio fra i gradini sotto il palazzo del Duca e il monumento ai Caduti (con libertà, però, di potere spingere il gioco anche nel resto della piazza, e, spesso, anche dentro il luogo con gli elenchi dei soldati Caduti, quando la foga diventava incontrollata e sovrana!). Tuttavia, diventava un’altra cosa quando si decideva di fare una partita di calcio fra “chiddi da chiazza” e “chiddi da stazzioni”, un derby che non aveva nulla da invidiare a quelli nazionali dei nostri giorni Roma-Lazio e tutti gli altri. Ci si preparava con i più forti giocatori, le maglie, il pallone più nuovo, le tattiche…

“’a Stazzioni” aveva Carmelo il portiere, Seminara, Iano Sciarone (mi perdonino tutti quei cari amici “avversari da Stazzioni” che qui non cito perché ne ho dimenticato i nomi, ma che ricordo lo stesso con affetto, per avermi fatto provare quelle bellissime sensazioni di paura e di forza d’animo derivanti dall’atmosfera della partita). Fino ai miei 12-13 anni (1956-57 circa) rimase questo il modo di fare calcio per noi ragazzi; qualche volta con qualche diversivo. Vorrei citare un altro, però saltuario, “terreno di gioco”, molto inusuale davvero. Era in costruzione in quel tempo un edificio scolastico destinato, quando ultimato, ad accogliere l’Avviamento, ossia l’altra copia della Scuola Media; il luogo era alle spalle della Scuola Elementare. I lavori della costruzione andavano molto a rilento, spesso furono sospesi e gli ambienti si degradavano senza alcuna custodia da parte di nessuno. C’erano corridoi con stanze ovviamente vuoti o pieni di calcinacci. Provo impressione, giuro, a dire che ci siamo andati alcune volte a giocare a pallone lì dentro, ma è avvenuto; io stesso mi chiedo cosa potessimo provare di divertente a giocare in quel luogo …! Probabilmente ci spingeva il desiderio di uno spiazzo adatto per il nostro gioco e non ci rendevamo conto di quanto fosse sciocco, sbagliato e meschino ridurci a tanto. Tuttavia, questa esperienza mortificante dovrebbe farci capire che i giovani vanno compresi, aiutati e instradati verso aspetti positivi e costruttivi della vita, sempre. In quel periodo ogni terreno di gioco sembrava avere i suoi campioni; per esempio, mentre io ero ancora relativamente piccolo, “o coraghesa” c’erano già dei forti giocatori come Angilazzu, Roberto, Raffaele il portiere, Michele Ferrara, e altri di cui non ricordo i nomi. Fu proprio in quel periodo, metà circa degli anni ’50, che contemporaneamente a questi inusuali campi di gioco si cominciò a fare del calcio un poco più diverso e regolare, grazie ai primi campionati di calcio fra squadre dei quartieri del paese con giovani di 16-18 anni, in campi tuttavia che di regolare non avevano ancora nulla. Erano tornei locali svolti nel solo periodo estivo in terreni, subito prima di iniziare, coltivati o a frumento o a patate o a erba selvatica (‘a sudda”) in località Mezzocampo. Porte rudimentali, linee di campo appena visibili e facilmente cancellabili, fondo del terreno che faceva affossare, come si può immaginare; solo dopo molte partite svolte il suolo iniziava ad indurirsi permettendo di muoversi e correre meglio. Sotto il sole cocente, bambini, ragazzi e adulti ci spostavamo dal paese a Mezzocampo per assistere alle varie partite la domenica, con tanta passione e partendo a gruppi dal centro della città. Già allora, voglio ricordare, quei giovani, molti erano davvero bravi, avrebbero potuto rappresentare Misterbianco nei campionati provinciali o regionali di calcio; sarebbe bastato che ci fossero nel nostro Paese due realtà fondamentali: un piccolo regolare stadio e una Società di calcio. Due cose che allora erano solo dei sogni irrealizzabili per noi giovani, grazie alla mentalità di tante persone adulte, specie di quelle che avrebbero potuto e dovuto intervenire concretamente e legalmente in merito.
Nel prossimo appuntamento conto di completare il mio racconto sul calcio del dopoguerra a Misterbianco; parlerò dei primi “romantici e poveri” campetti di gioco nei dintorni del Paese con i primi calciatori, gli unici, veri pionieri del mondo del calcio del nostro Paese, nucleo antenato di quello moderno che ha avuto inizio dopo il 1965, appunto. Saprete come e perché, a mio avviso, hanno meritato di essere considerati “eroi sfortunati” di questo sport così amato.

Vito Arena

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