Applaudita performance al Piccolo Teatro di Catania per il capolavoro di Igor Stravinsky, eseguito da "I Solisti" del Teatro Massimo Bellini diretti da Antonino Manuli.
E’ una “historie” che si
legge come passione singola (del protagonista) e collettiva (di un intero
secolo). Una storia di corruzione materiale ed interiore in versione
“cubista”. Al Piccolo Teatro c’è solo un velo leggero a separare la
musica de “L’Histoire du soldat” di Igor Stravinsky, dalla scena vera e
propria: “limen” appena accennato per una pièce che lo stesso autore aveva
definito «storia da leggere, recitare e danzare» e che la regia di Gianni
Salvo, “solista per voce”, ha equilibrato e dosato insieme alle note de “I
Solisti del Teatro Massimo Bellini” di Catania, diretti dalla bacchetta di
Antonino Manuli e con i “danzattori” Vittorio Bonaccorso (il soldato), Carlo
Ferreri (il diavolo) e Jenny La Cava (la principessa). Le tantissime riletture -
celeberrima quella cinematografica del
belga Henri Storck nel 1932, quelle più recenti di Pasolini (con la
regia di Mario Martone) e dello stesso Franco Battiato (per citare quelle a noi
più vicine) - sottolineano la versatilità di una composizione che si presta
alle interpretazioni più differenti, per esempio l’esecuzione del pezzo con
un solo “musicattore”, ad un tempo Narratore e Soldato-Diavolo.
“L’histoire du soldat” fu scritta da Stravinsky a Morgues durante la
Grande Guerra (mentre impazzava in Russia la rivoluzione) insieme ai
suoi amici e colleghi Ansermet e Ramuz. Anzi fu proprio il poeta svizzero
ad ideare un piccolo teatrino ambulante (così come sarà in Petrouschka)
sostenuto dalla musica di solo sette strumentisti: e da questo punto di vista la
composizione rispecchia lo spirito di “commedia dell’arte itinerante”. Sui
legni del Piccolo il pamphlet anti-militare che era stato il film si offre
ovviamente in una versione più densamente filologica. Questa
celeberrima composizione “a pezzi chiusi” - il cui argomento, tratto
dalla raccolta di racconti russi di Afanas’ev,
faceva riferimento all'obbligo del servizio militare sotto lo Zar Nicola I –
innesca immediatamente un generale
effetto di distorsione, di straniamento e al contempo di tragica denuncia. Non
solo: la figura del Soldato, “burattino” nelle mani del Diavolo,
richiama il burattino Petrouschka (il Pinocchio russo) nelle mani del suo
manipolatore e mago-burattinaio; una dimensione che la mano di Gianni Salvo non
ha affatto trascurato: e infatti nella seconda parte, il regista improvvisa, per
raccordare la “scena delle carte” a quella della “figlia guarita”, un
vero e proprio teatrino con tanto di incisive marionette. Dal politonalismo
della complessa partitura egregiamente affrontata da Domenico Gaglio
(clarinetto), Angelo Valastro (fagotto), Gioacchino Giuliani (tromba), Ignazio
Monaco (trombone), Vito Imperato (violino), Giuseppe Giacalone (contrabbasso) e
Ivan Minuta (percussioni) ben affiorano tutti gli spunti contaminati: dalle
corali bachiane alle canzonette, alle marce militari, dal ragtime al jazz,
inclusi tango e valzer: quella musica "cubista", cui si
accennava, assimilabile alla pittura di Picasso e Braque e che i costumi degli
interpreti hanno evocato nelle loro tonalità accese.
La “fiaba terribile” del soldato col diavolo si identifica con la partenza
verso le morte o la quasi morte: dalla guerra o non si ritorna più o si ritorna
come morti viventi quel contatto cancella ricordi ed emozioni: il soldato si
intrattiene col diavolo e alla fine ne viene tragicamente travolto. Dal
punto di vista propriamente teatrale Vittorio Bonaccorso (il soldato) e
soprattutto Carlo Ferreri (il Diavolo) condensano la musica in una mimica da
cabaret berlinese, mentre Jenny La Cava volteggia con grande sicurezza in un
finale esasperato anche dai giochi di luce. Gli applausi a scena aperta ci
stanno tutti.