La Festa di Sant’Antonio Abate, non solo questione di fede

Angelo BattiatoL’altro giorno ho ritrovato, tra le tante carte di casa mia, un interessante articolo pubblicato su “Il Seminatore”, glorioso periodico degli anni 60-70, edito dal circolo misterbianchese delle Acli, dal titolo, “Bilancio di una festa”, firmato dall’allora giovane Pippo Maricchiolo che, tra l’altro, affermava, «… le feste-frastuono dei Santi non rendono alcun servigio alla cristianizzazione del popolo, né, tanto meno, alla costruzione e alla crescita della comunità cristiana.

Ed allora non più festa dei Santi? E, nel nostro caso, non più festa del Santo patrono? Dirò molto chiaramente: “Non più”! Il perché è semplice: la festa dei Santi e quella del Santo patrono in ispecie, non ci propongono alcuna tematica del Cristianesimo, non ci fanno crescere in comunione col Cristo nella Chiesa e nella comunità. […] Si, le feste religiose così concepite e così svolte sono motivo di alienazione. Sono motivo di fuga dai veri e grossi problemi che ciascuno di noi personalmente e in comunità ha da affrontare e da risolvere con Dio e con gli altri uomini».

Sono passati oramai parecchi decenni e, puntualmente, dopo ogni festa di Sant’Antonio Abate, si ripete il solito ritornello sul valore e sul significato dei festeggiamenti. Certo, adesso abbiamo acquisito altri concetti che ci aiutano a “fare giustizia” ed a contestualizzare meglio le feste religiose nel nostro tempo. Abbiamo compreso che la religiosità e la devozione popolare non si esprimono solamente con i riti e le liturgie classiche (messe e processioni), ma che possono essere espresse in altri modi, con altri manifestazioni, altri simboli, dettati da differenti contesti storico-sociali e culturali. Anche le cantate, le candelore, la processione del fercolo, l’accesa competizione tra i vari rioni e le diverse categorie, finanche i fuochi d’artificio, sono manifestazioni dirette della credenza e della devozione popolare, sono i “contenitori” religiosi e culturali entro cui si esprime l’attaccamento alla fede, alla Chiesa cattolica e alla comunità di appartenenza, anzi sono proprio questi “simboli”, unici, originali, irripetibili e non riproducibili, ad identificare, a dare identità e a connaturare un popolo.

E in questo senso, secondo me, la festa del patrono travalica il semplice aspetto liturgico-religioso ed assurge ad un ruolo più ampio e complesso, assume un significato laico, civile, simboleggia una storia, esprime i “connotati” e le “generalità” di una comunità civile, disegna la mappa e la “carta d’identità” di un popolo. L’avevano capito così bene i nostri avi che, per “realizzare” tali concetti, demandavano alle autorità civili, sindaco e Giunta municipale, il compito di nominare la “Deputazione di Sant’Antonio Abate”, il comitato “deputato” ad organizzare la festa del patrono. In questo senso, come ho avuto modo di spiegare in un mio precedente articolo, “La Deputazione della Festa di Sant’Antonio Abate nella storia di Misterbianco”, tale comitato “era composto prevalentemente dai rappresentanti delle più ricche e importanti famiglie della città”, era l’èlite politico-amministrativa della città che si attribuiva il compito di organizzare la festa, perché, appunto, le celebrazioni avevano per loro una forte connotazione laica e civile.

Poi, purtroppo, sono sopraggiunte le “lottizzazioni politiche”, lo scadimento valoriale della società, la corruzione amministrativa, la degenerazione dei partiti, la crisi delle classi dirigenti, il degrado degli Enti locali, che, di fatto, hanno “cancellato” tale metodo di selezione, consolidato nei secoli, sostituendolo con la designazione dei membri da parte del parroco pro-tempore della Chiesa Madre, una forma di cooptazione che, come sempre, come tutte le “cooptazioni”, coinvolge solamente le persone più “vicine” e gradite al pensiero, al gusto ed alla considerazione del sacerdote nominante, i più accondiscendenti ai suoi giudizi e “pregiudizi”, e comunque, di fatto, i più lontani dall’aspetto storico-civile, e ortodosso, della festa.

Ma, in questa sede, non voglio soffermarmi sul metodo di selezione della Deputazione della Festa, il mio intento è di affermare che veramente le feste religiose, e quella di Sant’Antonio Abate di Misterbianco in ispecie, così come ci sono state tramandate dalla tradizione, hanno un sapore di rappresentazione scenica, di teatralità e di finzione della devozione e della religiosità, dal forte “gusto barocco e spagnolo” che pochissimo hanno a che vedere con la fede cristiana e lo spirito evangelico. Anche alla luce degli “illuminanti” insegnamenti dell’attuale pontefice, papa Francesco, credo che dobbiamo sforzarci di rendere limpida e veritiera la nostra fede, ripulirla dalle “incrostazioni” e dalle “sovrastrutture”, renderla comprensibile e attuale, riconsiderarla alla luce dell’autentico spirito evangelico, anche nella rappresentazione e nella esternazione giornaliera e festosa, con un ritorno alle origini della fede e degli insegnamenti di Cristo. E non mi si vengano a raccontare gesti di spicciola solidarietà quotidiana, di elemosine e di “briciole” per i nostri “amati poveri”, che suonerebbero, veramente, come scandalo e quasi blasfemia, se riferiti ad un Santo che ha fatto del “dono” lo stile e il segno distintivo della sua vita, Lui che da “giovane ricco” ha dato tutto ai poveri, diventando povero tra i poveri, in un deserto di “tentazione” e di solitudine. Ed allora ecco che accetto e condivido la sfida civile e coraggiosa, e la quasi “provocazione”, di Pasquale Musarra, che da non credente incita a noi credenti (ecco la “straordinarietà” della sua provocazione), a comprendere ed a “compenetrarci” con maggiore forza e genuina “passione cristiana” nella fede e nell’autentico spirito evangelico, e ad “abbandonare le minchionerie liturgiche e le obsolete litanie” per ridare speranza e coraggio ad “un popolo che con orgoglio e laboriosità continui a produrre ricchezze, commercio, culture, scambi e simboli per un futuro luminoso al servizio della vita e del benessere della gente”.

In una terra martoriata e affamata da secoli di abbandono e di malgoverno ancora ci permettiamo il lusso di “fare festa” a colpi di tromboni e di mortaretti per “un paese che – come dice Musarra – langue e si mortifica per la mancanza di lavoro, per una zona commerciale costretta all’abbandono, per gli artigiani che si rifugiano nella disperazione a causa dei debiti che non possono pagare, per la strada “Incarrozza” chiusa da mesi e mesi, per un canile inesistente, per i centri giovanili chiusi, per gli anziani lasciati soli e abbandonati alla loro solitudine, per i disabili nascosti tra i disagi famigliari, per i nostri piccoli cittadini che non hanno un asilo nido”, e ancora, ancora e ancora…
Per il resto,… come dice Bertold Brecht, “chi ride, (se ride) la notizia atroce non l’ha ancora saputa”, e forse capisce poco della Terra.

Angelo Battiato

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