gli olii di Sebastiano Parasiliti

Urbanesimo postmoderno, o
semplicemente Paesaggi di Fine Millennio, ordinaria rappresentazione della
quotidiana estetica.

Urbanesimo postmoderno, o
semplicemente Paesaggi di Fine Millennio, ordinaria rappresentazione della
quotidiana estetica. Tra territori, nature (praticamente morte) degli svincoli e
delle periferie, tra ambienti conurbati e zone industriali, gli olii di Seba –
nome de plume del quarantaquattrenne Sebastiano Parasiliti – il cui percorso da
autodidatta si radica (è indispensabile sottolinearlo) a partire dalla ricerca
fotografica negli anni ’80, esplicitano ed esplorano soprattutto il movimento:
anzi, aggiungiamo, la sua narrazione.
Lungo l’arco di tutte le possibili sfumature della scala dei grigi - quasi foto
in bianco e nero le opere della sua personale, allestita da Carmela Zuccarello
presso la Galleria Civica d’Arte “Pippo Giuffrida” di Misterbianco - “la
fotografia, la rielaborazione dell’immagine al computer, l’atto virtuale eppure
reale della scansione, condividono nell’opera di Seba - ha scritto Dario Gnemmi
- il posto che detiene la padronanza tecnica, gestuale questa volta, del mezzo
cromatico, sia in emulsione oleosa, sia nelle più industriali sintesi chimiche
dell’acrilico”. Questi asfalti fluorescenti di una tangenziale sotto la pioggia,
lo scroscio di luci, di sagome meccaniche ed umane indistinte - il perfetto
nulla dei nostri territori metropolitani, rodeo luminescente e metallico delle
vetture e dei loro profili sfocati - non rappresentano una “regressione del
pennello ad obiettivo” al contrario evidenziano proprio l’operazione opposta;
quelle periferie sembrano in altri termini dire “io” attraverso la
rielaborazione tecnico/pittorica di Seba: in questo senso costituiscono
“narrazione” ovverosia autonomia “coscienziale” rispetto alla mera riproduzione
(foto)meccanica; al contempo queste opere possono essere lette come storia
personalissima e universale al contempo del passaggio dall’utopia urbana alla
sua negazione, identificazione dello “spazio” – e lo scrittore Peter Handke lo
aveva sottolineato - come snodo centrale dell’esperienza del mondo, legame
“dipendente” in grado però di creare identità.

Giuseppe Condorelli

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