Le opere pittoriche del politologo ed ex parlamentare catanese presso il Centro di Documentazione della ricerca artistica Luigi Di Sarro della capitale in una antologica curata da Giuseppe Frazzetto. Uno splendido catalogo raccoglie anche alcuni testi critici e l'esemplare "Autodafè" dello stesso Barcellona.
Il Centro di
documentazione della ricerca artistica contemporanea “Luigi Di Sarro”, tra i
più attivi e attenti del Mezzogiorno, accoglie nei suoi spazi espositivi di via
Giulio Cesare, le “Tensioni metropolitane” di Pietro Barcellona. Suddivisa
nelle quattro sezioni di “Memoria”, “Spaesamenti”, “La città della
donna” e “Il corpo subito”, la consistente mostra costituisce una sorta di
imponente antologica (1960-2002) di uno degli intellettuali che ha alternato la
riflessione sulle cose del mondo alla lunga ed inesausta pratica pittorica:
Pietro Barcellona, professore di Filosofia del Diritto nell’ateneo giuridico
catanese, è stato infatti dirigente e parlamentare del PCI e membro del CSM,
impregnando di altissima e vigile coscienza la sua lunga militanza politica ed
intellettuale. In “Autodafè”, breve scritto che apre lo splendido catalogo
di “Tensioni metropolitane“ (con i contributi critici di Giuseppe Frazzetto,
di Giacomo Leone, di Corrado Pelligra e di Alberto Fiz) è lo stesso Barcellona
a delineare il suo particolare agire nella pittura, sostanziato - come ha
acutamente annotato Frazzetto, il critico e lo storico dell’arte che ha
presentato la kermesse romana - da una evidente gioia del raffigurare e
dal disarmante squallore di ciò che viene riprodotto.
“I miei quadri - scrive
- sono il tentativo di creare le immagini del mio mondo ma non nel senso
dell’interiorità intimistica o di esprimere chissà quale sentimento in
opposizione all’oggettivazione
che mi circonda, ma nel senso di mettere in scena le figure della “realtà”
attraverso le quali le emozioni, il piacere e il dolore entrano nel mondo
esterno e possono essere contemplate e godute. In questa prospettiva rimandano
agli archetipi della psiche.” Il segno pittorico di Pietro Barcellona è
fortemente impiantato su un'accentuazione cromatica abbagliante e sull'efficacia
di un tratto, che se da un lato manifestano il suo personalissimo disagio
della civiltà, si condensano dall’altro in tele urbane,
agglomerati periferici, borghi perennemente degradanti. La città di
Barcellona è una civitas precipitata e scomposta, complesso incongruente
di luoghi solitari, di solitudini e di assenza; una polis desolata,
sempre e ovunque periferia o ipermercato: tralicci e sottopassaggi, banlieue
e tangenziali, anonimi hotel, macchine nella notte e convogli che sfrecciano.
Questa città di Pietro Barcellona è la città reale, è tutte le città del
pianeta globalizzato, il loro incubo umano e culturale, economico e
sociale. Se le sue tele sviscerano con cinismo ed incantamento una natura
energica di soggetti-oggetti intimamente isolati, i cui sguardi non si
incrociano mai, la sua umanità - derelitta dentro - appare dunque come
possibilità o privazione. I protagonisti di queste tele potrebbero
dunque essere - per dirla con lo stesso artista -"gli infiniti microcosmi
di un'epoca di singolare assoluto che non entrano in relazione tra loro".
Così soprattutto le donne, quasi protagoniste assolute, “costruite - avverte
Barcellona - combinando immagini di “top model” cioè emblemi dell’eterno
presente”, sono sempre in primo piano, diverse anche cromaticamente da
ogni altra presenza. Esibiscono il corpo in forma di eccedenza
senza (possibilità di) relazione; una presenza si diceva archetipica ma che non
può risolversi: questa donna-merce si concede solo nel paradosso della
sua inattingibilità.
GiCo