Al carcere di Favignana nell’ottobre del 2013

CarcereNelle galere il tempo smette di camminare, avanza, come nei manicomi, a passi cadenzati da catene di sentenze e diagnosi che determinano misure carnali e mentali.

Le galere fanno male a chi ha fatto male e a chi ha la colpa di non avere colpe.

Andrebbero aperte e rinchiuse, come i cancelli delle case di campagna ad evitare che i lupi affamati di potere facciano razzie del bene comune. Carichi di questo preambolo siamo andati nell’isola di Favignana, capitale onoraria delle carceri italiane, dove si isolano i carcerati collocandoli in isolamento.

Ci siamo andati a mani nude, lasciando le nostre riserve e bisacce ricolme di giudizi e sentenze fuori dai cancelli mastri.

Abbiamo osato, portandoci ben nascosta dentro la nostra carne armi invisibili: un’idea dominante, la curiosità e una sfida……. Ne vale la pena? Ci trovammo, appena entrati tra muri altissimi armati di cemento, sbarre d’acciaio vigoroso macchiate da impronte di mani che le logorano e le accarezzano continuamente.

Chiavistelli che si lasciavano penetrare con fragore da chiavi scorbutiche e sbilenche.

Nei corridoi circolavano sorrisi educati e maleodoranti che sfioravano e vibravano d’indifferenziata curiosità: ma chi sono? Che vogliono? Che sono venuti a fare qui? sussurravano tra labbra serrate gli uni e gli altri. Li dentro, nel carcere, tutto è un segmento finito del nulla, un dettaglio che si ricompone nel niente, dove ogni particella di spazio appartiene a se stessa.

Invece l’essenza, lo spirito, il noumeno della galera appare essere il tempo, ad essa si immolano, si prostrano, si sottomettono i valori fondanti dell’esistere: la felicità, la libertà, la parola, la nostalgia l’inquietudine.
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