Mario Ciancio e la "normalizzazione della redazione di Telecolor" nelle carte dell'Antimafia

TelecolorNella lunga relazione redatta dalla commissione nazionale Antimafia sullo stato dell’informazione italiana – al centro di una votazione alla Camera - un itero capitolo viene dedicato all’emittente catanese Telecolor. La vicenda viene ricostruita dai deputati attraverso le audizioni di alcuni giornalisti impegnati, per motivi diversi, in duri contenziosi con il gruppo Ciancio.

Sono diversi i capitoli che la commissione nazionale Antimafia dedica all’informazione siciliana; in alcuni di essi, com’è facilmente immaginabile, il gruppo editoriale di proprietà di Mario Ciancio Sanfilippo è al centro delle attenzioni dei deputati, soprattutto quando si parla di “controllo monopolistico di alcuni segmenti di mercato”. Paradigmatico di questa problematica è il caso di Telecolor. La vicenda viene ricostruta attraverso le parole del giornalista Domenico Valter Rizzo protagonista, tra gli altri, del licenziamento di alcuni giornalisti e lo smantellamento de facto della redazione di Telecolor, all’epoca rete tra le più importanti a livello regionale.

Nell’audizione, Rizzo ricostruisce anzitutto il contesto editoriale in cui si colloca l’emittente per cui lavorava. « La vicenda di Telecolor va inquadrata nella situazione dei media catanesi e siciliani. I mass media siciliani sono in grandissima parte sotto il controllo di un unico editore, Mario Ciancio Sanfilippo che non è soltanto proprietario del quotidiano La Sicilia e delle emittenti televisive Antenna Sicilia, Telejonica e Teletna, con tutti i rispettivi canali controllati da queste emittenti, e anche dell’emittente radiofonica Radio SIS, dei siti web LaSicilia.it e LaSiciliaweb, ma ha anche quote del gruppo che controlla il quotidiano più diffuso a Messina e in Calabria, la Gazzetta del Sud, e il 16 per cento del Giornale di Sicilia >>.

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In un quadro fortemente polarizzato dalle iniziative editoriali riferibili a un solo gruppo, Telecolor, ricorda Rizzo al Comitato, «rappresentava oggettivamente un ostacolo a un controllo totale dei mass media in Sicilia».

Telecolor nasce nel 1976, fondata da alcuni imprenditori catanesi, e dopo diversi passaggi editoriali viene totalmente acquisita dal gruppo Italimprese che faceva capo all’imprenditore Eugenio Rendo. «Dentro questa redazione – ricostruisce Rizzo – si era formato un gruppo di giovani giornalisti, del quale facevo parte anch’io, che non aveva mai avuto alcun tipo di contatto con il gruppo Ciancio. [...] Sostanzialmente eravamo un gruppo di giornalisti che non dovevano dire grazie a nessuno e quindi lavoravamo in maniera assolutamente autonoma. Telecolor non faceva un’informazione barricadera, non Faceva un’informazione rivoluzionaria, non faceva controinformazione: faceva un telegiornale come andava fatto, noi raccontavamo i fatti come stavano, senza togliere e senza mettere, senza fare campagne di stampa in una direzione o in un’altra: avevamo la possibilità di fare un telegiornale normaleZ».

<< Questo – commenta caustico Valter Rizzo - a Catania non era consentito, in quanto fare un’informazione normale, svincolata dal controllo, diventava un atto rivoluzionario. Bisogna anche dire che in questo gruppo di giornalisti alcuni si erano formati anni prima, proprio quando erano molto giovani, addirittura nella redazione del Giornale del Sud diretto da Giuseppe Fava. Cito Alfio Sciacca per tutti, ma ce n’erano anche tanti altri ».

« Telecolor era diventata anche un grande punto di riferimento nazionale, perché nel momento in cui si verificavano episodi importanti gli inviati di tutti i giornali si concentravano a Telecolor, interagivano con la sua redazione e in determinate situazioni si rilevava una concentrazione anche degli inviati dei grandi giornali internazionali (penso per esempio agli inviati del Guardian, del Financial Time…). Bisogna anche dire che dalla fine degli anni ’80 alcuni di noi avevano assunto l’incarico di corrispondenti di alcuni quotidiani, segnatamente l’Ora, l’Unità, la Repubblica, il Corriere della Sera, Il Mattino e La Stampa, e il sottoscritto era il punto di riferimento della redazione di Michele Santoro da Samarcanda in avanti. [...] C’era un’azione quasi quotidiana, per cui sul quotidiano La Sicilia si scriveva una cosa e noi ne mandavamo in onda un’altra, sui giornali nazionali i nostri pezzi raccontavano una realtà completamente diversa da quella che veniva raccontata da La Sicilia ».

Insomma, Telecolor rappresentava l’unica alternativa al monopolio del mercato (anche pubblicitario) in Sicilia. « E questo – spiega Rizzo nel corso della sua audizione – era un altro elemento per cui Ciancio mirava ad acquisire la proprietà di Telecolor. Cosa che più volte aveva tentato invano di ottenere, fino a quando la crisi economica del gruppo Italimprese mise Telecolor in una condizione di assoluta vulnerabilità sul piano economico e quindi Ciancio riuscì ad acquisire in due tornate la totalità del pacchetto azionario, intestandola alla moglie e alla figlia ». «L’azione di normalizzazione sulla redazione di Telecolor non è avvenuta in un giorno, ma è stata un’azione graduale che si è protratta nel tempo. Con la scusa che bisognava risparmiare ci toglievano totalmente i mezzi per potere lavorare, e addirittura siamo arrivati al paradosso che quando arrestarono Provenzano abbiamo dovuto chiedere l’autorizzazione all’amministratore delegato, cioè a un ragioniere, per far partire un inviato speciale per andare a seguire l’arresto di Bernardo Provenzano ! Non ci facevano pressioni su cosa dovevamo scrivere, ma semplicemente non ci facevano lavorare. Ci hanno tolto gli operatori, ci hanno tolto i tecnici di montaggio, hanno ridotto la televisione in una condizione in cui era difficilissimo continuare a lavorare ». « Poi hanno fatto un’altra operazione propedeutica a quella dei licenziamenti [...] Ciancio crea un’agenzia, che si chiama Asi, di proprietà della famiglia Ciancio e diretta dalla figlia di Ciancio>>.

L’AGENZIA DI ANGELA CIANCIO
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Secondo quanto ci veniva chiesto dalla signora Angela Ciancio l’agenzia Asi avrebbe dovuto occuparsi totalmente dell’informazione, sarebbe stata una sorta di redazione parallela che avrebbe seguito i casi «più sensibili», mentre noi ci saremmo occupati della parte residuale [...] La risposta è stata categorica: non se ne parla. La redazione ha confermato lo sciopero ed è stato ribadito che un’informazione prodotta da soggetti che non fossero sotto il controllo del direttore responsabile della redazione, controllo fondamentale sulla base dell’articolo 6 del contratto nazionale di lavoro giornalistico, sarebbe stata una violazione dell’autonomia professionale della redazione. [...] Il 22 febbraio del 2006, pochi mesi dopo i fatti che sto riferendo, viene avviata la procedura di licenziamento, ufficialmente perché bisognava risparmiare. Il risparmio doveva essere intorno ai 400.000 euro solo per la redazione ».

La vertenza va avanti e in un primo momento sembra trovare –ricostruisce Rizzo – un punto di mediazione positiva. « Il 20 giugno 2006 dovevamo vederci per la firma (dell’accordo raggiunto, ndr). Invece arriva una lettera inviata al prefetto e a noi del comitato di redazione: o accettate che l’Asi entri dentro Telecolor e faccia una redazione parallela, per cui voi venite esautorati e vi garantite lo stipendio, oppure noi procediamo con i licenziamenti. Il risultato è stato che noi abbiamo rotto il tavolo. [...] Il 2 luglio vengono eseguiti i primi due licenziamenti, quelli del collega Sciacca e del collega Fabio Albanese, rispettivamente vice caporedattore e caposervizio. Il direttore Nino Milazzo che, sempre sulla base del contratto nazionale di lavoro, avrebbe dovuto avallare i licenziamenti, si è rifiutato e si è dimesso per protesta. A quel punto Ciancio convoca una redattrice, Michela Giuffrida, che doveva essere anche lei licenziata, e la nomina direttore. Noi non votiamo la fiducia nei confronti di questa persona e sono scattati i licenziamenti per gli altri colleghi che rimanevano. Se non ricordo male, l’Asi è stata messa in liquidazione sei o dodici mesi dopo il nostro licenziamento e non ha mai fatto altro ». La vicenda in questione è stata affrontata dal giudice del lavoro del tribunale di Catania che, con sentenza n. 4538 del 2009, ha dichiarato illegittimo il licenziamento collettivo, ordinando a reintegra nel posto di lavoro con il pagamento di un’indennità pari alle retribuzioni globali di fatto dal giorno del licenziamento.

L’AUDIZIONE DI NINO MILAZZO
La decisione è divenuta esecutiva con la sentenza in Cassazione n. 770.15 del 19 gennaio 2015. Sulla vicenda Telecolor il comitato ha audito anche Nino Milazzo che fu, appunto, l’ultimo direttore prima dei licenziamenti a cui si riferisce la sentenza. Milazzo – scrive la commissione – “ha ricostruito per il Comitato non solo la cifra giornalistica di quell’esperienza ma anche il rapporto che ebbe durante quegli anni con l’editore dell’emittente, ovvero il gruppo Ciancio”.

« Non solo Telecolor si atteggiava a un’autonomia assoluta e impenetrabile – ha ricordato Milazzo – ma diventava un condizionamento per gli altri, nel senso che chi avesse voluto omettere o falsificare era costretto a seguirci… Non ho mai avuto nessuna pressione da nessuno. Nessuno ha osato mai dirmi cosa dire o non dire. Mai nessuno ha osato farmi una telefonata. Anzi, a testimonianza dell’assoluta, quasi maniacale autonomia con cui volevo affermare il ruolo della testata, ricordo che in un’occasione un servizio pubblicitario introdusse irregolarmente elementi di informazione, allora feci un editoriale attaccando l’azienda e dicendo che non si permettessero più di farlo. Cito questo episodio non per vanità o per dire che sono stato forte, ma per dire che la nostra autonomia era talmente vigorosa e urticante che feci un attacco all’azienda di cui ero dipendente e nessun osò dirmi nulla. Da questo punto di vista, non ho avuto pressioni »

LA POSIZIONE DI MICHELA GIUFFRIDA
Anche l’onorevole Michela Giuffrida, giornalista, oggi parlamentare europeo e all’epoca della vertenza Telecolor direttore ad interim dell’emittente, conferma questo punto di vista: « La redazione di Telecolor è sempre stata un punto di riferimento per il panorama informativo nazionale. Nella redazione di Telecolor c’erano tutti i corrispondenti dei giornali nazionali, che liberamente, così come facevo io, scrivevano ciascuno per il proprio quotidiano ». E sui rapporti con l’editore, aggiunge: « Non ho mai subìto pressioni o richieste e non sono mai stata condizionata dalla presenza della famiglia Ciancio ». Sui sei licenziamenti (quattro dei quali avvennero durante la sua direzione ad interim), puntualizza la Giuffrida: « Il mio coinvolgimento è praticamente inesistente. La procedura di licenziamento di Telecolor comincia con comunicazione preventiva il 22 febbraio 2006, direttore Nino Milazzo. In quel momento l’azienda denuncia un esubero di nove unità… Da dipendente anziano, io vengo nominata direttore ad interim nel momento in cui il direttore Milazzo si dimette e dopo di me, dopo questo periodo, credo già a settembre o il primo ottobre, comunque non più tardi di allora, arriva il nuovo direttore… ».

Alla domanda se, nella sua qualità di direttore, avrebbe potuto evitare quei licenziamenti, la risposta dell’onorevole Giuffrida è netta: « Ritengo che i licenziamenti sarebbero comunque andati a buon fine, non potendo nessuno interagire con questa procedura, che allora l’editore estrinsecò per motivazioni economiche. Certamente qualunque mio atto non avrebbe potuto intaccare la volontà che l’editore… Io non li ho certamente avallati: è una procedura che ha visto il suo epilogo in quella data ma non ho avuto alcun ruolo in questa procedura » (16). Resta – tra la Giuffrida e il suo predecessore Milazzo – una lettura diametralmente opposta sulle ragioni che indussero la famiglia Ciancio a procedere a quei licenziamenti. « La mia idea – ci ha detto Nino Milazzo – è che si è partiti da una crisi economica, ma si è colta questa difficoltà per smantellare una redazione e una testata che disturbava i manovratori perché era incontrollata e incontrollabile. Nessuno osava intervenire. La mia opinione è questa. La cosa si realizzò anche perché io avevo detto che se avessero fatto un solo licenziamento, mi sarei dimesso. Naturalmente, questa affermazione fu colta al volo dall’editrice, che era la figlia di Ciancio, per fare un primo licenziamento che mi indusse a dimettermi. Poi seguirono altri licenziamenti ».

Di segno opposto la valutazione di Michela Giuffrida: « Io non ho motivo di supporre che la redazione di Telecolor sia stata smantellata per questo »

Mattia S. Gangi
sudpress.it
03/03/2016

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