Tra cronaca e storia la Catania lontana di Giuseppe Fava

Giuseppe Fava sui legni del Teatro Musco.
"Cronaca di un uomo" del giornalista catanese ucciso in un agguato mafioso nell'interpretazione di Enrico Guarneri

CATANIA - La storia di un esistenza
mortificata, di un “fissa” che disperso dalla vita non trova la forza di
ribellarsi ad una quotidianità fatta di bassezze, di soprusi, di sconfitte
culminate in una morte anonima ed improvvisa. E’ quella che a rebours costruisce
nella dimensione del ricordo Gaetano Saglimbeni, il protagonista di “Cronaca
di un uomo”, la pièce di Giuseppe Fava - prodotta dallo Stabile catanese -
che ha inaugurato la stagione del Teatro Musco.Il personaggio protagonista - che
richiama in più di un atteggiamento la figura del giornalista catanese - appare
come un individuo suo malgrado costretto a districarsi tra avvenimenti piacevoli
e sciagure incoercibili. Egli è certamente un buono, un galantuomo esemplare,
lontano dagli arrivismi dei colleghi e alieno della cattiveria di chi lo
circonda: insomma un idealista, una ”testa piena di vento”; solo le puttane
(forse) sono pronte a comprendere, non certo a condividere, la sua estrema
dignità. Gaetano è così un frammento dello specchio del malessere degli anni
’60, muovendosi in quell’ambiente giornalistico che è tutto il suo mondo e
le cui tuttora attualissime contraddizioni restano ancora da scrivere. La
narrazione si snoda per brevi sequenze – le scene essenziali di Riccardo
Perricone ne sottolineano egregiamente la dimensione della rammemorazione così
come le gradevoli musiche originali di Nino Lombardo quella del ricordo – in
una Catania “evocata”, ricostruita grazie ad alcune fin troppo classiche
immagini in bianco e nero; una città che fa da sfondo ad una vicenda, quale
emerge dalla scrittura di Fava, apparsa (trent’anni dopo la sua stesura)
innegabilmente datata e verbosa. Eppure nonostante i limiti evidenti del testo,
sui legni del Musco la mano intelligente di Mangano ha trovato la chiave per
schiudere una esposizione drammaturgica tutto sommato scorrevole - spesso in
bilico tra commedia, satira di costume e dramma - dalla quale è certamente
emerso un collettivo di interpreti all’altezza e dalla quale affiorano
soprattutto le prove piene e convincenti del protagonista Enrico Guarneri, e di
Deborah Bernardi nei panni dell’amata Concettina. Tra gli applausi copiosi e
convinti del pubblico del Musco alla fine si avvertiva però una assenza: quella
della Catania “nera” e pappona, violenta e “cavaliera” dei favolosi anni
‘60 che era stata spesso obiettivo del Fava giornalista più critico ed
eversivo e che proprio nella trasposizione di Mangano – certo per consapevole
scelta – appare forse ingiustamente nobilitata ed eccessivamente idealizzata.

GiCo

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