Le amare riflessioni di GIANCARLO CASELLI

Pubblicato lo scorso 24 agosto su Repubblica:
Sostiene il ministro della Giustizia Castelli che i magistrati parlano troppo. Puo' darsi che abbia ragione, anche se quelli che lo preoccupano sembra di capire sono soltanto i magistrati che esprimono opinioni sfavorevoli agli orientamenti della maggioranza, mentre dal conteggio c'e' la tendenza ad escludere quei magistrati (e sono parecchi) che pubblicamente si dichiarano in sintonia con le scelte governative.

Pubblicato lo scorso 24 agosto su Repubblica:

Sostiene il ministro della Giustizia Castelli che i
magistrati parlano troppo. Puo' darsi che abbia ragione,
anche se quelli che lo preoccupano sembra di capire
sono soltanto i magistrati che esprimono opinioni
sfavorevoli agli orientamenti della maggioranza, mentre
dal conteggio c'e' la tendenza ad escludere quei
magistrati (e sono parecchi) che pubblicamente si
dichiarano in sintonia con le scelte governative. Ma se
le posizioni possono essere diverse quanto all'eccesso o
meno di esternazioni, un punto a me pare fuori
discussione. Ed e' che i magistrati, parlino tanto o poco,
nessuno o quasi nel mondo politico li ha ascoltati o li
ascolta. A dieci anni dall'inizio di Tangentopoli, con
tante inchieste che hanno rivelato un tasso di
corruzione impressionante; a dieci anni dall'avvio di
inchieste sui rapporti tra mafia e pezzi della politica che
hanno evidenziato (anche quando vi e' stata
insufficienza di prove sul versante della responsabilita'
penale) la sconvolgente realta' di una singolare
convergenza di interessi; a dieci anni di distanza si puo'
tentare un bilancio obiettivo.
Si vedra' allora che vi e'
stata in tutti questi anni una sostanziale incapacita'
della politica di cogliere gli elementi di conoscenza che
l'esperienza giudiziaria poteva e puo' offrire,
valorizzandoli per attuare le riforme necessarie contro la
corruzione e le collusioni tra mafia e politica.
Non solo:
ben presto si e' cercato di togliere oggettivita' ai
risultati stessi delle inchieste, oltre che alle analisi dei
magistrati e al loro tentativo di mettere in guardia (dati
alla mano) contro i pericoli delle disfunzioni della
giustizia a fronte della minaccia delle varie
manifestazioni di criminalita'.
Di piu': i dati esposti dai
magistrati (di solito i piu' "loquaci" erano e sono anche i
piu' informati) dopo un po' sono stati considerati con
fastidio, quando non combattuti con acrimonia. Ed
ecco che la politica, invece di concepire il suo
sacrosanto ed indiscutibile primato come effettivo
impegno a predisporre efficaci antidoti contro la
corruzione e la mafia, ha preferito, la via dell'ostilita'
verso i giudici. Inventandosi la favola dello
straripamento del potere giudiziario, del partito dei
giudici e via seguitando. E cosi', il dibattito sui problemi
della giustizia e' stato imprigionato nel perimetro di una
filosofia riduzionista, sintetizzabile in alcuni punti: che
la magistratura fornisca pure il servizio pubblico che le
compete, ma senza infastidire chi puo' e conta; che le
sia garantita una certa indipendenza, ma confinandola
ad un livello "naturalmente" sottordinato rispetto a
quelli dove si esprimono i valori forti del potere. Si
comprende allora come le pur documentate denunzie
dei magistrati in ordine ad un sistema minato in radice
da mafia e corruzione (cosi' diffuse da assurgere esse
stesse a sistema) siano rimaste del tutto inascoltate. E
come la politica, invece di adottare le contromisure
possibili contro il malaffare, abbia preferito la strada
dell'insofferenza verso una magistratura considerata da
sterilizzare. Per indorare la pillola agli occhi di
un'opinione pubblica indubbiamente interessata
all'effettivita' di una giustizia uguale per tutti che le
inchieste di tangentopoli e mafiopoli facevano sperare,
si e' inventata ripeto la favola dello strapotere dei Pm
e della rivoluzione giudiziaria. Ma favola era e resta. Il
problema reale sta tutto in quel tentativo di
sterilizzazione. Con l'aggravante che non vi si sono
esercitate soltanto le forze che avevano al riguardo ben
precisi interessi, giudiziari e non. Quel tentativo, infatti,
e' attecchito anche in settori che culturalmente e
politicamente avrebbero dovuto operare in modo ben
diverso. Cosa che non finira' mai di stupirmi...".

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