La fotografia ''emozionata'' di Salvatore Pipia

Al Castello Normanno di Paternò "Da Sud a Sud" il singolare percorso per immagini di un fotografo siciliano: dal Guatemala al Brasile; dall'Honduras al Mozambico.

">“Non
voglio mostrare gli orrori di tutti questi Sud, piuttosto sottolineare la loro
estrema dignità”. Salvatore Pipia, trentacinquenne fotografo siciliano,
precisa così il comune denominatore che sostanzia i quasi sessanta scatti della
sua “Da Sud a Sud”, la mostra che l’assessorato alla Cultura del comune di
Paternò ha organizzato negli splendidi saloni del Castello Normanno, seconda
tappa (dopo la nativa Bagheria) di un lungo itinerario attraverso l’isola.Il
lavoro di Pipia condensa sulla pellicola una attività decennale intrapresa in
qualità di educatore per conto di organizzazioni non governative e associazioni
– l’ARCS di Roma e l’Arciragazzi - attraverso i Sud del mondo: Mozambico,
Brasile, Guatemala, Honduras ed El Salvator. Solo alla fine di una intensa
formazione fotografica - sorretta dall’insegnamento di Letizia Battaglia prima
e di Franco Zecchin in seguito - Salvatore Pipia acquisisce quel metodo e quella
tecnica che sono riuscite a distillare una fotografia “emozionale” e dalla
quale si palesa anche la lezione “umanista” di un maestro come Salgado Lungo
le due ideali sezioni - bianco/nero e colore - in cui si articola la sua
personale, Pipia dà voce attraverso scatti quotidiani, discreti e genuini, al
comune racconto di chi grida dai sotterranei della storia di un Sud non
geografico. Un grido però bisbigliato e sommesso, che si alza soprattutto da
un’infanzia inconsapevole e felice - sia essa quella dei ragazzini di Recife o
di Maputo, dei carceri minorili o dei ghetti metropolitani - ma che
paradossalmente riesce ad imporre allo sguardo il baratro della sua spaventosa
miseria materiale. Dai protagonisti delle fotografie in bianco e nero, ai grandi
pannelli dalle mille sfumature (“in questo caso quella del colore è stata una
scelta obbligata”, evidenzia Pipia, “in omaggio alla millenaria cultura
Maya”) con i primissimi piani delle bimbe guatemalteche, splendide nelle loro
vesti accese e fino ai ragazzi di strada delle favelas del Nordeste
brasiliano, affiora, evidente, una straordinaria volontà di sopravvivenza tanto
più degna e caparbia quanto più intrisa di violenza e di sopraffazione
continua ad essere l’esistenza dal margine di questa umanità. Nel rendere
questa fierezza, il taglio degli scatti di Pipia assume quasi una scenografica
compostezza che all’occhio poco abituato parrebbe suggerire una postura
addirittura atteggiata: in realtà le immagini di Pipia sono spontanee ed
immediate, riflesso della sua straordinaria esperienza umana.


tags: