"I diritti non si appaltano" - La protesta dei Call Center Almaviva

Almaviva Misterbianco“I diritti non si appaltano” è lo slogan. Meno precarietà, più regole, certezza e futuro. Ieri, il presidio di un centinaio di dipendenti davanti alla sede di Almaviva Contact a Misterbianco, con 30 minuti di sciopero alla fine di ogni turno di lavoro (così come nelle altre sedi di Palermo, Napoli, Roma, Rende e Milano), per sostenere con forza l'emendamento - approvato dalla Commissione Lavori pubblici - inserito nel disegno di legge sugli Appalti ed in attesa del voto alla Camera, che dà la garanzia occupazionale in caso di cambio di appalto per i lavoratori dei Call center.

 Sia Almaviva (circa 10 mila dipendenti in sei sedi) che un altro grosso Call center, Comdata, si oppongono alla “clausola sociale”, la norma che prevede la prosecuzione dei rapporti di lavoro esistenti in caso di successione di imprese negli appalti con il medesimo committente.

“Questa norma – ci dice Natale Falà, rappresentante Rsu in Almaviva - esiste già negli altri Paesi europei e servirà ad arginare le gare al massimo ribasso, in cui il prezzo della competizione tra imprese viene fatto pagare in sostanza ai lavoratori, che con il cambio di appalto perdono il lavoro o, in alternativa, devono rinunciare a quote ingenti del loro salario, dei loro diritti, della loro dignità. L’emendamento da noi atteso mette fine a questo sistema, in cui lo Stato spende soldi pubblici (ammortizzatori sociali, incentivi per la finta “nuova” occupazione, ecc.) mentre i lavoratori sono perennemente mortificati. Con la clausola sociale, se la commessa viene assegnata ad una nuova azienda, il lavoratore viene riassorbito e non perde il lavoro. Una svolta storica che darebbe finalmente qualche piccola certezza a chi lavora nei Call center”.

Almaviva occupa a Misterbianco 1200 dipendenti a tempo indeterminato, in contratto di solidarietà da due anni con una riduzione del 25%, e 300 dipendenti con contratto a progetto. Il Call center (dietro ogni sua telefonata c’è un posto di lavoro) opera per conto di grosse società committenti come Tim, Vodafone, Wind, Sky, Enel, Green Energy, Alitalia, Ferrovie dello Stato ed altre.

Dura da anni la mobilitazione – anche con manifestazioni nazionali - dei lavoratori, che hanno pagato l’assenza di regole, le incertezze sulle loro prospettive, le prassi di delocalizzazione in paesi stranieri (come l’Albania) in cui il costo del lavoro è minore. Ammortizzatori sociali, flessibilità sempre più spinte, e dipendenti “costretti a salvare con i propri sacrifici i loro Call center che ora non li tutelano”.

Ha già raccolto circa 17 mila firme una petizione on line con cui si chiede alla Camera la conferma della clausola sociale, mentre invece sono scese in campo contro tale emendamento salva-lavoratori le organizzazioni delle telecomunicazioni e delle aziende in outsourcing. Nota la dura risposta dell’Asstel, che in Confindustria rappresenta le aziende del settore in esternalizzazione dei servizi: “L’emendamento appare una grave forzatura che annulla l’autonomia gestionale delle aziende”.

Roberto Fatuzzo
La Sicilia
21/10/2015

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