Roberto Zappalà e la sua performance Ob/Sol.um: una vera e propria insurrezione fisica del coreografo e danzatore catanese. Accompagnata da lunghissimi applausi.
“Ma figuriamoci se ho il sospetto di essere abile. Mostruosa vanagloria è questa la mia poetica”. In “Chorus file”, la settima delle nove “tracce” in cui Roberto Zappalà scandisce la sua solo/performance “Ob/sol.um” – accolta nello spazio performativo di Scenario Pubblico - è indicata la geografia dell’intero lavoro del coreografo catanese, incentrato “sull’insolenza di esistere”: una drammatica e toccante, ironica ed irridente contaminazione di movimenti, di musiche, di immagini, di riflessioni sul corpo e sulle sue mutilazioni-mutazioni: antropologiche e patologiche. La babele lessicale e sub/liminale che invade, alimentandola, la nostra coscienza costituisce l’incipit rutilante lungo il quale Zappalà, in forma di bombardamento sonoro/visivo/fisico, ci ragguaglia sul caos: è lo spazio-scena ai cui poli due “cubisti” esercitano i loro corpi levigati ed impossibili sulla dis/armonia del nulla quotidiano vomitato dallo schermo gigante. E’ il “vestibolo” (infernale) che introduce alla sequenza successiva nella quale - imperanti gli elettrostimolatori per un corpo da modello/a - non riesce a salvare né lui né noi (commessi) viaggiatori-merce, fagocitati dalla velocità (degli scambi) che lascia scorrere in forma di titoli di coda (come dentro ad una vena), la teoria stimo-depressiva dell’abuso chimico. La malattia (la vita, questa vita), l’”epitelioma” – che connotava il pirandelliano uomo dal fiore in bocca - si consuma invece nel buio silenzioso di una atmosfera siderale, accarezzata dalle musiche di Nello Toscano che fanno da sfondo al flatus recitativo, incorniciando il breve spazio del sogno in cui Zappalà insegue immagini da desktop. Patire il virtuale, soffrire fisicamente la carne: così la danza abita i luoghi della sofferenza; è il corpo martire, il corpo dis-abile a mostrare le sue piaghe, a lasciare intendere dalle lastre di una tomografia assiale un progetto, una “incubazione”di morte. L’epifania di questo corpo è allora immediata, materializzandosi improvvisamente in movimenti spasmo-spastici: Zappalà danza il movimento mai danzato, l’irrappresentabile, il corpo impedito, il corpo dei diversi: danza la carrozzella, danza la protesi. In un contrastato crescendo “Ob/sol.um” coagula infine nell’ultima traccia - che scioglie nella delicatezza di un incontro “diverso” ogni possibile retorica edulcorata e rassicurante – un originalissimo percorso narrativo, vissuto come “insurrezione fisica” (non si può non pensare ad Artaud), un teatro-danza che si svela luogo dell’azione efficace, magia curativa e trasformazione alchemica, crogiolo nel quale la “relazione” è un contagio benefico: un teatro sì della crudeltà ma anche e soprattutto dell’emozione. Applausi a scena aperta, più che dovuti.
GiCo