Dico la mia... sulla festa di S. Antonio Abate

Antonino CondorelliSono siciliano ed appartengo alla comunità di Misterbianco. In qualità di misterbianchese ho condiviso e condivido in modo naturale le tradizioni, i comportamenti e le qualità culturali della mia comunità senza accorgermi né dei pregi né dei comportamenti, a prima vista eccessivi, che la caratterizzano durante la festa del Patrono: S. Antonio Abate.

Ho partecipato sempre alla festa grande seguendone gli schemi convenzionali e vivendone i fermenti, gli impeti, lo spirito di parte, l’amore dimostrato verso le virtù del Santo Patrono e la fede religiosa che questo avvenimento sottende. Ho vissuto sempre la vita quotidiana fra i miei compaesani e spesso sono stato coinvolto in dispute su alcuni momenti della “festa ranni” nelle quali, dietro l’apparente animosità di parte, vi era reciproca tolleranza, corroborata dall'affetto che è l’elemento fondamentale nell’amicizia.

Oggi che la qualità culturale dei miei concittadini è diventata sempre più evoluta, le analisi degli avvenimenti risentono della speciale formazione di ognuno degli analisti che si confrontano sui temi socio - politico - culturali. Le analisi risentono in modo più forte delle idee dei singoli quando si affronta il discorso sulla validità, ai nostri giorni, della celebrazione della festa di S. Antonio Abate, secondo i criteri convenzionali legati alla cultura storico-etnico-sociale della comunità stessa. Così come la pioggia serve ai funghi per completare il loro ciclo vitale con la produzione degli sporofiti che vengono fuori dal suolo copiosi, l’avvenimento religioso della “Festa ranni” scatena una serie di interventi che, come i funghi, hanno un loro grado di tossicità o velenosità, per poi sopirsi dopo la festa in attesa che il ciclo triennale si ripeta.

Io penso che tutti noi, più che lasciarci condizionare da sovrastrutture di varia natura nel guardare e commentare il fenomeno socio-religioso, dobbiamo focalizzare la nostra attenzione sulla trasformazione che la popolazione subisce durante la festa religiosa. È noto a tutti come i ceti e i partiti si contendono il primato della devozione impegnando tutta la loro intelligenza, dimostrando il massimo ardore possibile e alternandosi in gare trionfali per mezzo di canti, per mezzo del vigore dei portatori che fanno “ballare le varette” e per mezzo di fragorosissimi fuochi pirotecnici. È noto, inoltre, che lo spirito di parte accresce la forza naturale, già esaltata dalla devozione verso le virtù del Santo Patrono: ognuno è persuaso che niente è impossibile ed, in realtà, il proprio operato supera ogni immaginazione e la gloria di tutto questo va in onore di S. Antonio Abate, sotto la cui statua si marcia.

Ogni individuo sembra assumere una nuova maniera di essere accrescendo il proprio trasporto e l’impeto in un delirio inarrestabile per effetto del grande amore verso S. Antonio Abate. A tal proposito, anche il Prof. Pippo Rapisarda nel suo libro "Festa ranni" scrive di «vecchi e giovani, esperienza e vigore, cementati da una identica passione… del vecchio e il nuovo intimamente connessi… come modo di essere di una comunità sentimentale il cui oggetto è la fede»

Alla luce di quanto detto, credo che bisogna riuscire a vedere, oltre al valore dei gesti e dei comportamenti durante i festeggiamenti, le qualità più nascoste e più creative del popolo siciliano, che “ama lo spettacolo in modo sfrenato” e “tutto ciò che colpisce l’occhio e parla all’immaginazione”. A questo punto mi auguro che tutti gli interventi pro e contro l’organizzazione e lo svolgimento della “Festa ranni” serviranno a far sì che la comunità rimanga compatta anche dopo i festeggiamenti ed a orientare verso fini più utili le capacità che i cittadini dimostrano, durante le varie fasi delle celebrazioni. Io sono fiducioso.

Antonino Condorelli

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