Una mostra celebra lo scultore catanese Eugenio Russo

Suggestioni protostoriche e mediterranee delineano con estremo rigore la parabola artistica di uno scultore all'ombra. La donazione da parte della famiglia di alcune sue opere diventa occasione per conoscere ed apprezzare un maestro dell'arte a Catania.

Una
scultura primitiva, rituale e protostorica, sintesi di un sapere eclettico, di
un approccio integrale quanto inconsueto all’arte e alla cultura. E’ la
scultura di Eugenio Russo, l’artista catanese scomparso novantenne nel
novembre dello scorso anno, cui l’Assessorato alla Cultura dedica nei saloni
del Museo Civico di Castello Ursino la mostra campione “Il Genio nella
sintesi”, sollecitata dalla donazione di alcune opere alla città - sculture,
terrecotte, carboncini - da parte della famiglia. E’ l’occasione per
riscoprire uno degli indubbi e discretissimi maestri di Catania, la cui
indipendenza, nonostante i precisi collegamenti ad indirizzi ed a movimenti di
grande rilievo (compì gli studi presso l’Accademia Romana), è stata spesso
scambiata per superficialità e la cui adesione ad uno stile severo e
controllato è stata bollata, senza basi né filologiche né ideologiche,
addirittura come “fascista”: piuttosto Eugenio Russo ha rappresentato un
isola a parte anche nella sua Catania (che infatti gli commissionò soltanto
qualche lavoro, il fregio in terracotta del Palazzo di Giustizia ed il leone del
grattacielo): insomma una parabola esistenziale simile a quella di tanti
“invidiabili geni” (la definizione è del primo cittadino Umberto
Scapagnini) ai quali la loro stessa città è stata spesso matrigna.
Negli spazi austeri e luminosi del Castello Ursino una cinquantina di opere
provenienti da collezioni private, incluse le quindici donate che a detta
dell’assessore Fiumefreddo saranno ospitate in modo permanente in una stanza
del (già affollato) Museo d’Arte Contemporanea “Emilio Greco”. Scriveva
bene Pietro Barcellona all’indomani della morte (istituzionalmente silenziosa)
di Eugenio Russo: i suoi bronzi e le sue terrecotte hanno prodotto “il
turbamento dell’incontro con gli antenati della specie, con i giganti che
fecero da ponte tra cielo e terra”. Sono infatti affusolate figure femminili,
essenziali nei tratti ma con la morbidezza compiuta dei loro volumi, sempre
equilibrati e armonici, di un rigore assoluto e sui quali s’impone la
straordinaria vivacità dei panneggi che, lontani da ogni stucchevole
descrittivismo, sono testimonianza di una classicità senza tempo. Gli sguardi
di questi soggetti straordinariamente femminili s’impongono una composta
postura, una materialità mai invadente sia essa espressa dall’elegante
staticità tipica delle icone ortodosse (Donna con bambino, 1982) o
modulata dalla ieratica maestà delle sculture dal gusto e dalle intonazione
elleniche (Ragazza con cane, 1984). Tra la folla
dell’inaugurazione anche qualche addetto ai lavori, come Natale
Platania, l’ex allievo dell’artista catanese che siede adesso sulla cattedra
di Scultura dell’Accademia di Belle Arti che fu proprio di Eugenio Russo.
“Pur rimanendo al di fuori delle scuole e delle appartenenze – spiega
Platania – Eugenio Russo è riuscito più di tutti a condensare nella sua
scultura quella purezza e quella spontaneità che nemmeno i grandi esponenti, da
Scipione a Lazzaro, sono stati capaci di esprimere”. La mostra rimarrà aperta
fino al cinque dicembre.

GiCo


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