Teatro del tradimento: Salvo Gennuso rielabora Muller nel suo laboratorio attivo

Medea ai nostri tempi: la lettura di Muller e della follia metaforica dei suoi temi nel laboratorio di Salvo Gennuso al Camera Teatro Studio.

La scena? Il Teatro tutto semmai,
scena a sé. Ridotti a puro sguardo davanti ai Pokèmon, assorti nella
quotidiana venerazione mediatica e assuefatti al rimbecillimento catodico, gli
attori invadono lo spazio degli altri (gli spettatori) in una imbarazzante
commistione di umori e di reazioni, di suoni. È l’ouverture anarchica di
Medea #2, il lavoro di ricerca sui materiali scenici di Heiner Muller - Costa depredata, Materiale per Medea, Paesaggio con Argonauti
Appunto 409, Aiace per Esempio, Un cacciatore soffiò forte nel suo corno
- condotto da Salvo Gennuso (che ne ha pure curato la regia) al Camera Teatro
Studio. Qui, nell’altra realtà, gli attori (cioè tutti) ascrivendo ognuno
agli altri un ruolo, si condannano comunque ad una parte, ad una
“interpretazione”. Loro, quasi macchine biologiche per guardare, non
sciolgono sulla scena (quella vera) la tensione; una scena rigidamente delineata
e circoscritta da una banda bianca e rossa (pericolo, no trespassing) che
annuncia il teatro come luogo del delitto, dei delitti: contro l’infanzia per
esempio - e una tenera Alice ci raggela con la storia di tutti i non-nati, di
tutti i bambini persi del mondo – prima che la “torbida pappa umana”, gli
idioti in/felici che affollano lo spazio (un asilo, un centro di salute mentale,
una città assediata, una costa non più riviera di turisti ma di orrori, un
carcere segreto?) si agitano nella babelica ricostruzione-decostruzione del
mito: contaminato ormai, irrimediabilmente postcontemporaneo. Il mito antico e
la storia moderna (dalla Colchide all’URSS, dalla Germania del Reich
all’Italia celodurista e xenofoba dei Bossi-Fini) si sovrappongono, cioè
coincidono nella spirale di violenza e di inganno, nell’unico orizzonte
possibile: il “tradimento” che è poi la parola-chieve di tutto il teatro di
Muller. Portavoce del tradimento è una Medea rammemorante (nel finale ci sarà
posto anche al delirio hitleriano), che vuole “spezzare l’umanità in
due”: è lei l’apostolo dei bugiardi, degli istrioni, 
dei traditori; eppure il parossismo della sua stessa crudeltà di
infanticida ce la restituisce umanissimamente lacerata. Già: ma chi
è Medea oggi? Il senso di tale mito sembra essere il tema dell'esilio e Medea
una di quelle donne sulle carrette del mare, costrette ad emigrare per via della
guerra o della fame; una profuga obbligata a sottostare agli obblighi
“fotodattiloscopici” della legge Bossi-Fini (anche gli spettatori lasciano
le loro impronte all’ingresso). Forse Medea può essere una di quelle donne
che arrivano in Europa con l'illusione di potersi costruire una vita migliore e
che invece trovano solo tradimenti.
Aggregando frammentazioni visive e
testuali, sonore (composte da Francesco Gianino e rielaborate da Francesco
Trimarchi) e convulsamente gestuali, la messa in scena di Gennuso ci restituisce
(attraverso uno straniamento tutto brechtiano) sia gli imbastardimenti tirannici
del comunismo sia le assurdità globalizzate del capitalismo. Aderentissima la
prova di Fabio Monti (nella foto) così come quella di tutti gli altri giovani
del laboratorio: Elaine Bonsangue, Francesca Cantarella, Davide Giuffrida,
Gigliola Guardo, Luigi Nigrelli, Marcella Parito, e Andrea Trovato.
All’interno di alcuni sequenze contrastate - ma è la cifra di Muller - la
regia di Gennuso offre alcuni scorci devastanti, imbastendo un lavoro di
notevole impatto drammaturgico che se non altro ha la funzione - alla
maniera dello stesso Muller - di rendere la realtà impossibile. Come il
lavoro degli operai di Termini Imerese cui lo spettacolo è dedicato.

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