Se il mondo è prigione:"La chiave dell'ascensore" al Teatro Club

Brava Ida Carrara nel testo di Agota Kristof con la regia di Guglielmo Ferro

La musica, nell’incipit, danza la
parola assente. Danza – attraverso i movimenti lievi e terribili di Valeria
Del Vecchio - la solitudine di una donna cosa-costretta nella sua casa-torre
dall’uomo-marito, inaccessibile il mondo se non attraverso un ascensore di cui
lei non possiede più la chiave. All’interno di questa condizione
claustrofobica e reclusoria ruota “La chiave dell’ascensore” la pièce
teatrale di Agota Kristof che il Teatro Club ha presentato sui suoi legni nel
cartellone di “Ring 2003” con la regia di Guglielmo Ferro. Il testo della
scrittrice ungherese, che arriva per la prima volta nella città dell’elefante
grazie alla sensibilità di Guglielmo Ferro e di Paola Greco, e già
rappresentato per la prima volta nell’ottobre di due anni fa solo dal Teatro
Sociale di Treviso, è certo spettacolo coraggioso, che getta finalmente nello
stagno del teatro catanese un momento di pulsante contemporaneità. La
dimensione limbica di questa mise en espace è incentrata tutta sulla
variazione, il sovvertimento del registro linguistico che dall’iniziale sapore
evocativo e rassicurante diventa angosciosamente impetuoso, drammaticamente
autoironico – io sono felice esclama la protagonista, contraddicendosi
– quindi dolorosamente ossimorico. La sua è la storia di una segregazione e
al contempo di un corpo mutilato, di una progressiva sottrazione sensoriale, cui
il Marito-padrone-architetto la costringe nel bastione del sistema coniugale che
ha imposto. La sintassi registica di Guglielmo Ferro sottolinea la stimmung
della finzione di una vita priva di ogni senso vissuta della protagonista,
attraverso i fiori di plastica e l’uccellino artificiale in gabbia della
scena, elementi che rinviano alla stessa condizione della donna. Solo sfugge in
questo universo circoscritto, in cui l’unico sensus è quello della
finestra che si apre sulla pianura boscosa – e che l’intervento di Ferro
accentua trasformandola in video su cui scorrono le uniche immagini del mondo
reale, vero ma inattingibile - la parola-sostanza, la voce-testimonianza. La
voce della Moglie dunque che diventa grido, verità, chiave per riguadagnare
l’ascensore e perciò il mondo; voce che diventa soprattutto gesto di rivolta;
voce che uccide e libera forse: sangue. Al di là dell’ovvio riferimento alla
situazione sperimentata dalla stessa Kristof nell’Ungheria totalitaria, “La
chiave dell’ascensore” si rivela actio salvifica della Parola ma
anche uno studio tempo e sul suo abuso; davvero singolari le sue involontarie
corrispondenze letterarie: da “Il Custode” di Carmelo Samonà al “Barbablù”
di Beatrice Monroy. La voce ed il corpo di Ida Carrara (con Franz Cantalupo e
Nando Greco) dominano poi sulla scena con una mirabile densità, materializzando
nel tempo breve della rappresentazione una folgorante prova interpretativa.

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