Sabina Guzzanti e il suo Reperto Raiot

La popolare attrice conquista Letojanni col suo spettacolo satirico. E ce n'è per Destra e Sinistra...

Satira pensante,
criticamente intelligente, che non sa né vuole innescare le risate facili e
sguaiate delle tante burlette anestetiche della tv. E’ questa la Sabina
Guzzanti di “Reperto Raiot” lo spettacolo, scritto a quattro mani con Curzio
Maltese e Carlo Gabardini, che ha chiuso nello stadio della cittadina della
riviera la rassegna Eventi d’Estate. Lungo
due ore piene di “stand up comedian”, armata solo di microfono e di lingua
sciolta per raccontare e per raccontarsi, per interrogare e per interrogarsi –
uno schermo gigante su cui s’inseguono immagini e caricature - Sabina Guzzanti
in costume futuristico-retrò, romanticamente fantascientifica, un po’
pinocchio un po’ Lara Croft, riemerge da un improbabile ritorno dal futuro per
raccontare chi siamo stati, anzi chi ci meritiamo di essere stati, sulle note di
un elettropop acido che si scioglie poi in una ballata dal sapore popolare e
antiberlusconiano: “Il mio tempo non è il denaro ma il mare aperto dei
sentimenti”. E dal vippume radical-chic e della sinistra (progressista?) che
assiepa la platea (spiccava pure la barba canuta dell’ex senatore Pettinato)
gli applausi si alzano continui. In una sorta di taglio
paradossal-documentaristico complici Maurizio Rizzato alle percussioni e Danilo
Cherni alle testiere, Sabina declina il caso Italia: 
bugie, omissioni, censure, soprattutto. Contro le armi di “distrazione
di massa”, contro l’impianto bulgaro della (dis)informazione, delle
contraddizioni tricolori, della strage delle parole, ormai piegate alle logiche
del controllo mediatico (lo stesso che ha imposto lo stop alla sua trasmissione
televisiva RaiOt), Sabina Guzzanti attraversa il nulla denso di questi nostri
anni recentissimi con una aggressività affascinante e felina. E allora ce n’è
per tutti, nessuno escluso: dal Presidente del Consiglio - evocato da una serie
di epitaffi esilaranti: da “Ceaucescu buono” a “cazzone di turno” – a
Barbara Palombelli; da Buttiglione a Bruno Vespa, cui Sabina dedica alcuni
gustosi siparietti da “Porta a porta”; da Tremonti, “buonanima”, a
Ferrara (“l’alter-ego di Platinette”) fino Lucia Annunziata: “una che
riesce ad essere contemporaneamente di destra e di sinistra”. Non dimentica
nemmeno di sottolineare la piccolezza della nuova ‘intellighenzia’, tronfia
di pubblicazioni e di talk show: “Ma dove sono – sbotta – gli
intellettuali come Cavino, Flaiano, Zavattini, quelli che non avevano bisogno di
prove per denunciare le realtà scomode?” In un crescendo al vetriolo, tra una
De Filippi che intervista Edipo, la Pivetti che si contraddice, un D’Alema che
gira perennemente a vuoto e un autoprocesso spassoso e feroce, parole come
pietre cadono contro la legge Gasparri e l’utilizzo reazionario e repressivo
del “terrorismo”. In un finale trasformistico Sabina indossa i panni di
Silvio Berlusconi e, con la stereotipata verbosità di un paradossale monologo,
illuminato da sprazzi in dialetto siculo, svela la verità: “Le elezioni io le
ho vinte, sono gli italiani che le hanno perse!”. La sarabanda conclusiva di
un “ciuri ciuri” sintetico, s’impenna lungo la canzone cantata a
squarciagola dallo stadio fino alla “resistenza”, parola-chiave di tutto lo
show. Prima della meritata ovazione.

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