Quel bravo ragazzo ucciso solo perché figlio della compagna del rivale

Giuseppe TorreLa lunga notte di terrore del 16 febbraio 1992: fatta luce su uccisione del ventenne che il clan malpassoto rapì per stanare uno dei Tuppi.

Tra gli efferati omicidi compiuti dalla famiglia mafiosa Santapaola-Ercolano - per i quali ci sono 23 arrestati dal Ros dei carabinieri nell’ambito dell’operazione “Thor” della Procura distrettuale - c’è quello di Giuseppe Torre, all’epoca ventenne, commesso a Misterbianco il 16 febbraio del 1992. Oggi, alla luce delle rivelazioni del collaboratore di giustizia Francesco Squillaci, è chiamato a risponderne Alfio Adornetto.

L’omicidio avvenne ad opera del clan del malpassoto perché tramite il ragazzo, figlio della compagna di Gaetano Nicotra, appartenente al clan dei cosiddetti Tuppi di Misterbianco, contrapposto al primo, si voleva rintracciare il Nicotra che si era reso irreperibile e ucciderlo.

Il ragazzo, che non era a conoscenza di alcuna informazione utile, fu interrogato, torturato e ucciso e il cadavere fu bruciato con il metodo dei “copertoni”.

Giuseppe Torre era il figlio del boss Giuseppe, detto “Pippu Tronu”, appartenente al clan Epaminonda e ucciso 10 anni fa a Milano. Viveva da quando aveva un anno a Misterbianco con la nonna paterna. Non aveva precedenti penali e da tre anni lavorava come apprendista in un’azienda elettromeccanica di Misterbianco.

La sua grande passione erano le motociclette e ne possedeva una da competizione, una CR 250. Giuseppe amava stare con gli amici e andare con loro nelle birrerie del centro alle porte di Catania.

Il giorno del suo omicidio si seppe più tardi. Sì, perché il giorno stesso si parlò di finti poliziotti che erano entrati in azione per sequestrare il ragazzo (nello stesso giorno, sempre a Misterbianco, fu ucciso Nunzio Di Stefano, 39 anni, piccolo pregiudicato).

Era notte quando quattro sconosciuti, armati di pistola e mitraglietta, spacciatisi per poliziotti, presero Giuseppe mentre era in piazza Dante Alighieri a parlare con gli amici, di rientro da una serata a Catania dove insieme erano andati a giocare a bowling. All'improvviso arriva una Lancia “Thema” targata Roma, di colore celestino chiaro e con un segnalatore luminoso sul tetto. Escono quattro persone, armi in pugno. «Siamo della polizia - dicono -. Documenti». I ragazzi si tranquillizzano e mettono mano alle carte d'identità e alle patenti. I quattro falsi agenti gettono uno sguardo svogliato sui documenti di alcuni, mentre la loro attenzione si concentra su Torre. «È te che cerchiamo, sali». E partono a tutta velocità.

Un quarto d'ora dopo, il cugino di Torre, Giuseppe Castelli, va a denunciare l’accaduto ai carabinieri. Un rapido controllo e il sequestro è scoperto.

Che nesso c’è tra le due storie (Torre e Di Stefano)? Oltre ai falsi poliziotti, il lampeggiatore e il breve tempo trascorso, nessuno, almeno in apparenza.

Il sequestro di Torre sarebbe anomalo per gli inquirenti. Tanto che a Misterbianco girarono voci anche sulla madre che viveva a Prato e che avrebbe voluto riavere con sé Giuseppe, ma il giovane, che aveva una sua vita, si sarebbe sempre opposto al desiderio della donna.

Curiosità: la mattina seguente la Squadra Mobile bloccò una Lancia Thema targata Roma, di colore celestino, con tre giovani a bordo, che furono anche fermati. Ma non c’entravano nulla col rapimento-omicidio e in serata furono rilasciati.

Adesso, a distanza di 28 anni esatti, le dichiarazioni fornite da un collaboratore di giustizia hanno fatto piena luce sul delitto del povero ragazzo, che nulla c’entrava con i fatti di mafia.

Vittorio Romano
lasicilia.it
26/02/2020

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