Quando i misterbianchesi difesero il diritto all’acqua

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I misterbianchesi da sempre hanno difeso il naturale diritto di utilizzare
l’acqua come un bene pubblico, sin da quando ricostruirono il Comune
dopo l’eruzione del 1669, realizzando le case nelle vicinanze di due fonti
pubbliche. La prima sgorgava nell’abbeveratoio detto di S. Giovanni, in
contrada Tiritì, l’altra, continuazione della prima, nel quartiere «Rovicella
»
, formava un lavinaio. Le due fonti, nel 1853 furono deviate dal barone
Antonino Sisto nel proprio fondo, lasciando all’asciutto la popolazione.
Ne nacque una sollevazione popolare con circostanziate petizioni e
«suppliche» all’Intendente della provincia etnea e, visto che il barone disattendeva
anche le disposizioni dell’Intendente, si arrivò all’intervento
del giudice regio per eliminare la deviazione.
Non passarono neppure 28 anni, durante i quali l’acqua fu incanalata
fino al centro storico, che un’ulteriore minaccia rischiava di lasciare all’asciutto
gli abitanti in seguito alla decisione del Comune di Catania che, appropriandosi
dell’acquedotto romano, lo affidava a una ditta per far
giungere le acque del principe Manganelli, oggi Sogea, da Valcorrente fino
a Catania. Anche in questo caso, su iniziativa di Carlo Condorelli, un cittadino
benemerito autore di numerose battaglie a favore della comunità,
il Consiglio comunale dell’epoca si costituì in giudizio a difesa del diritto
pubblico di usufruire dell’acqua.

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