QUALE SINDACO PER MISTERBIANCO?

Scade in
questa primavera il mandato al Sindaco Ninella Caruso (MPA), eletta
nella coalizione di centrodestra. La sua ricandidatura alla guida del
Comune di Misterbianco sembrerebbe già sicura, in quanto annunciata
dalla stessa, nonostante che componenti della sua coalizione tentano
ancora d’imporre l’alternanza.
Sull’altro fronte, quello del centro-sinistra, si ripropone la
candidatura di Stefano Santagati (DS), il quale, sconfitto per una
manciata di voti alle elezioni amministrative del 2002, potrebbe
aspirare ora alla poltrona di primo cittadino.
Tra i
firmatari del manifesto del centrosinistra, però, non figura la
sezione locale di Rifondazione Comunista, da cui si attende la
posizione ufficiale che possa confrontarsi con i suoi elettori.
Resta incerta, invece, la collocazione delle due nuove formazioni
“Alleanza per Misterbianco” e “Alleanza Siciliana”, le quali, entrambe
prodotte dal dissenso con Alleanza Nazionale, si porgono alla
cittadinanza ciascuna con una propria lista.
La prima è capeggiata da Pippo Longo e la seconda da un raggruppamento
che, aderendo al movimento dell’on.Nello Musumeci, propende verso la
candidatura di Serafino Condorelli.
Infine, in un locale di ristorazione nel cuore della zona commerciale
di Misterbianco, il campionario territoriale di Forza Italia nei giorni
scorsi si è dato appuntamento ad un “summit-banchetto” probabilmente
con l’obiettivo di “negoziare” con gli affiliati locali la strategia
del predominio.
Questi sono i movimenti sinora registrati a Misterbianco in previsione
delle prossime amministrative 2007.

Intanto c’è da rilevare, dagli umori della cittadinanza,
una certa apatìa nei confronti dell’appuntamento elettorale, quasi che
l’indifferenza avesse contagiato la nostra popolazione, probabilmente
più motivata verso l’allegro Carnevale piuttosto che a una socialità,
in cui la politica è stata resa anemica e viene usata dal
politicantismo affaristico dei soliti furbetti, riverniciati a nuovo
sotto altro simbolo, rispetto all’anno prima, ma ugualmente
riconoscibili nonostante lo spessore stratificato delle frequenti
ricoloriture sovrapposte.
Pare, inoltre, che altri simboli e liste prolifereranno nei prossimi
giorni sulla base di patteggiamenti velleitari o facendo leva sulle
illusioni degli allocchi.
Infine ci sarà il voto, il cui risultato sarà determinato dalle
recondite strategie, dai giochi di potere, dai condizionamenti e dallo
scempio culturale dilagante.

E si ricomincia col gioco dei quattro cantoni.
Ci si chiede perchè votare e per chi votare.
I partiti senza più ideologia sono divenuti ormai i recipienti di
pacchetti clientelari da subordinare alle decisioni del notabile, e i
nomi in lizza in verità non rappresentano certo le aspettative della
cittadinanza.
Verrebbe voglia di non recarsi a votare o invalidare la scheda, ma alla
fine si vota e si cede alla lusinga dell’amico o del parente.
E la democrazia, con il suicidio collettivo, viene ancora una volta
sacrificata sull’altare del compromesso, del vantaggio personale e
della propria irrazionalità.

La gente onesta si allontana dalla politica e dai partiti,
perchè è ormai stanca di sentirsi amministrata dai soliti “tamburini”
di latta o da personaggi che hanno inteso la politica soltanto come
mestiere per far lievitare interessi privati.
Essa avverte il bisogno di volersi amministrare, non di sentirsi
soltanto amministrata nè di considerarsi semplicemente una fruitrice di
servizi.
Rifiuta l’indecenza e la falsa legalità, ed aspira ad un Sindaco, il
cui ruolo dovrebbe essere principalmente quello di far diventare il
Comune uno strumento democratico d’incentivazione culturale e di
collegamento permanente con la popolazione, con le associazioni e le
organizzazioni che ne rappresentano gli interessi economici, sindacali
e culturali.
Ma per rendere stabili questi rapporti una Amministrazione democratica
e popolare dovrebbe creare strutture culturali, consulte di
commercianti, di esercenti, comitati civici di studio per un modo nuovo
e reale di gestire l’Ente pubblico.
Dovrà essere questo il punto centrale delle dichiarazioni
programmatiche di un Comune, un modo chiaro ed efficace per educare i
giovani all’esercizio democratico e per investirli del ruolo di
soggetti politici, quali elementi portanti di lotta per una svolta
nella costruzione di un nuovo assetto democratico, che partendo dal
Comune investa via via la Regione sino a giungere al Parlamento ed
infine al Governo.

Perchè guardando a questi obiettivi, superando le sterili
programmazioni progettuali delle burocrazie comunali o l’ordinaria
amministrazione, il Comune potrà elaborare la vera politica attraverso
un potere di concorso decisionale, i cui protagonisti principali
saranno i cittadini stessi.

Questa è la forza che si deve dare ai cittadini, una forza
che permetterà ad un Sindaco di amministrare secondo il volere del
popolo e non invece di politicanti avventurieri che, barando senza
etica e con metodi da felloni, dai bar teorizzano patti e maggioranze
sulla pelle dei cittadini.
Finora, infatti, il voler limitare i lavori del Consiglio a fatti di
ordinaria amministrazione e a marginali iniziative ininfluenti o il
racchiudere le decisioni di Giunta all’interno del Comune senza
privilegiare invece la valenza della dialettica politica sono stati gli
errori più gravi non solo di questa amministrazione uscente ma anche di
quelle precedenti.
E questo ha significato perdere di vista la funzione essenziale della
partecipazione e della consapevolezza della gente come punto di
riferimento per modificare il rapporto tra quartieri e Comune.
Infatti la rilevazione dei bisogni popolari e le relative
rivendicazioni devono essere sempre accompagnate da un chiarimento che
si può avere soprattutto con l’esperienza diretta delle popolazioni dei
Comuni, affinchè siano individuati i limiti entro i quali è costretta
ad operare una Amministrazione comunale e, di conseguenza, per
elaborare gli strumenti di base essenziali perchè venga avanti quella
battaglia vera di riforme a carattere generale nel Paese.
In mancanza di ciò i Comuni potrebbero dare solo sbocchi illusori alle
reali rivendicazioni della gente, ai problemi che maturano nei
quartieri e che spesso riguardano problemi di elementare civiltà e di
bisogni essenziali.

Occorre, infatti, un uso dell’autonomia del potere locale
che tenga conto soprattutto di questo e veda la sua funzione non
strettamente collegata al fazzoletto di terra del Municipio, ma
innanzitutto ai grossi problemi delle riforme dello Stato, le quali
dovranno partorire dalla base del Paese, non dalle “teste grosse”
insediate nel Governo di Roma e legate ai poteri forti dell’economia
capitalistica.
Perchè, al di là della formale parvenza democratica, gli avvenimenti
scandalosi di questi ultimi anni convincono sempre più che lo Stato
oggi è assediato da una nuova classe di ricchi avidi e di avventurieri
impuniti che lo hanno reso non sufficientemente democratico e con la
strana voglia di separatismo.
Ma può e deve diventare uno Stato dei lavoratori, lo Stato in cui tutti
i cittadini-lavoratori si possano effettivamente e pienamente
riconoscere
Diversamente si rischia di restare prigionieri in una visione
municipalistica, egoistica, che alimenta soltanto le spinte
qualunquiste, gli interessi di mafia, mentre si tratta invece di
individuare le cause reali della crisi politica e di usare anche il
potere locale per rimuoverne gli errori di una democrazia deviata, la
cui morale banditesca considera valore chi con guadagni sproporzionati,
spesso associati al malaffare, abbia aumentato il capitale; e perciò,
purchè sia ricco, vale più del galantuomo.

Non saranno, dunque, le riforme del Governo, non servono le
Finanziarie a debellare gli squilibri sociali della ricchezza del
Paese, le ingiustizie, gli scandali, le malversazioni, i furti del bene
pubblico, la precarietà del lavoro, le piraterie delle mafie. Servono
principalmente le applicazioni delle regole democratiche, perchè è
nella democrazia che si possono acquisire le libertà dai bisogni, la
pacifica convivenza, la dignità e la fierezza di sentirsi uguale tra
uguali.
E per far questo bisogna cominciare dalle strutture periferiche delle
istituzioni dello Stato, si tratta di vedere l’uso dello strumento
comunale in una visione dialettica nel suo rapporto con lo Stato e con
la politica governativa per tendere in tal modo alla costruzione di
questa nuova democrazia.
E la democrazia -quella vera- si sviluppa collegandola al popolo e
facendola diventare veicolo di trasformazione e di educazione della
società, perchè l’esperienza delle assemblee locali dei Comuni d’Italia
possa servire non a fare accettare lo Stato così com’è, ma ad
organizzare le forze popolari per cambiare lo Stato, per fare avanzare
le rivendicazioni del progresso sociale e per incidere poi nelle
elaborazioni finanziarie di Governo.

Così si deve intendere la funzione di un Comune e del modo
nuovo di amministrare di un Sindaco rivoluzionario: un compito che non
dovrà essere quello di cavalcare il disimpegno politico della gente e
nemmeno di addomesticare le coscienze con le distrazioni festivaliere o
limitando le sperimentazioni solo nelle manifestazioni di Carnevale, ma
in grado di saper incentivare e sviluppare gli strumenti di lotta
politica, di emancipazione, di progresso sociale e, soprattutto, di
reale elevazione culturale attraverso efficaci iniziative di
comunicazione e di partecipazione, nelle quali le energie culturali ed
ideologiche della nuova generazione possano raffrontarsi, educarsi
all’esercizio della “vera” democrazia, dove si dovrà formare
l’organismo politico di ricambio per l’autogoverno locale.
E’ questa la rivoluzione che può bloccare il degrado sociale e
politico, la disgregazione del costume, della morale, degli ideali,
consentendo alla nuova generazione di iniziare una nuova esperienza nel
modo serio di governare un Comune e di fare vera politica.

Non occorrono grandi programmi, occorre soltanto seminare
idee per raccogliere idee.
E’ questo l’obbligo morale che si richiede ai Sindaci dei Comuni
d’Italia, ed in particolar modo lo esige la cittadinanza di
Misterbianco, centro di un imponente commercio e polo d’attrazione di
“appetitosi” grossi interessi finanziari dove le contraddizioni sociali
e il disordinato rapporto capitale/lavoro si rivelano in tutta la loro
ambiguità e costituiscono effetto deprimente in “un paese senza più
società”.

Se sapranno assolverlo avranno meritato la stima ed il
sostegno dei cittadini onesti, e avranno dato impulso ai fermenti
incalzanti di una nuova stagione politica di rinata democrazia, in cui
ogni cittadino possa credere ed identificarsi.
Diversamente ne porteranno tutto il peso e la responsabilità, ed i
propri concittadini, nel migliore dei casi, avranno rivissuto ancora
nell’inerzia e nel degrado politico la storia del “Re Travicello”.
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FEBBRAIO 2007
( ENZO ARENA )

Visita “il sito di enzo arena” su: www.webalice.it/arenavincenzo

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