Paolo Arena, gli appalti e il furto delle carte dal municipio dopo l'assassinio

Congresso DC 1987 - Teatro Comunale - Paolo ArenaDalle carte dell'inchiesta che ha portato all'arresto di 26 persone emergono i dettagli del ruolo del politico Dc assassinato nel 1991 e una inquietante incursione dentro il Comune etneo dopo l'omicidio.

L’operazione “Gisella”, che ha portato agli arresti di 26 persone, ha consentito agli inquirenti di ricostruire la genesi degli scontri tra i clan per il controllo del territorio della provincia di Catania, in particolare di Misterbianco e Motta Sant’Anastasia e sopratutto i contorni di alcuni omicidi eccellenti.

Tra questi spicca quello di Paolo Arena, esponente della Democrazia Cristiana, freddato dai Tuppi e divenuto una sorta di Salvo Lima catanese.

Filippo Malvagna, del gruppo del Malpassotu, pentito considerato attendibile dagli inquirenti, parla delle amicizie di Mario Nicotra, il capoclan dei Tuppi ucciso nel 1989 a Misterbianco. Rapporti con amministratori locali molto più stretti rispetto al gruppo del Malpassotu come quelle con l'esponente Dc Paolo Arena o con alcuni impiegati comunali.

L’omicidio Arena, avvenuto nel 1991 proprio dinanzi al municipio di Misterbianco, aveva scatenato le ire del Malpassotu perché, secondo la testimonianza di Malvagna, “l'uccisione di un politico aveva creato molto scompenso sul territorio”.

Arena venne ucciso per il suo “tradimento”: sarebbe passato dal sostenere i Tuppi al clan rivale del Malpassotu. Così la sua condanna a morte fu formulata da Gaetano Nicotra ed eseguitda da Luciano Cavallaro e Antonino Rivilli nel 1991.

Ma in cosa consisteva il supporto del politico della Democrazia Cristiana ai clan? Nelle carte dell'inchiesta, lo racconta una conversazione intercettata dagli inquirenti, nel novembre 2017, tra lo stesso Antonino Rivilli a Paolo Pasquarello Conti.

Quest’ultima ricorda che il padre Pippo veniva avvisato da Arena per lavori e appalti: “Quanto costa? Cento milioni? Gli faceva un assegno ... A posto!! L'indomani mattina mio padre faceva strade per cinquecento milioni!”.

Un giro di appalti e soldi fruttuoso per il clan “senza fare niente” in termini di lavori come racconta Conti: “Mio padre mi diceva "io con la bomboletta nemmeno l'asfalto gli mettevo, la dipingevo nera e arrivavano i soldi".

Poi qualcun altro pensava alle pezze di appoggio come fatture e bollettari falsi per testimoniare l’acquisto del materiale per realizzare I lavori. Ma poi, come racconta Conti, “si strappavano, facevano le fatture, si andava al comune di Misterbianco ed uscivano i soldi! Cento milioni ! Duecento! Trecento! Quelli ehe volevamo! Problemi non ce n'erano mai!”.

“Quando è morto quello (ndr; dice Conti riferendosi ad Arena) mio padre ha perso un miliardo, mio padre! Perchè, se c'era lui questi soldi se li andava a prendere”.

Emerge, secondo la conversazione intercettata, un altro particolare inquietante. Dopo l’omicidio Arena, il comune di Misterbianco venne sciolto per infiltrazioni. Ma prima che ciò avvenisse Conti racconta che il padre entrò di notte dentro gli uffici comunali per fare scomparire determine dei lavori e altri documenti perché “l'indomani c'è stata la Commissìone che controllava le gare del Comune”.

Carte scomparse, secondo la versione dell'uomo intercettato, che probabilmente avrebbero portato gli inquirenti del tempo sulla pista degli appalti milionari che arrivavano nelle ditte dei clan grazie al supporto della politica compiacente.

Come detto dai carabinieri, nel corso della conferenza stampa dell'operazione Gisella, "in quel periodo vi erano appalti milionari e gestire un uomo politico come Arena, vicino a noti politici, era importante".

Caddero, nei tumultuosi anni '90 a Misterbianco, anche dipendenti comunali come un geometra dell'ufficio tecnico e un comandante dei vigili urbani venne arrestato. Una lunga scia di sangue frutto della faida tra i due gruppi per il controllo del territorio e degli agganci politici.

Andrea Sessa
cataniatoday.it
01/05/2019

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