Non è mia abitudine scatenare sterili o inutili polemiche

Carmelo SantonocitoNon è mia abitudine scatenare sterili o inutili polemiche, ma le cose che purtroppo non rispondono alla verità dei fatti mi viene francamente difficile digerirle, soprattutto quando queste nascondono quasi certamente antipatie incancrenitesi nel tempo e che la difficoltà unilaterale di comunicazione personale e sociale le ha trasformate in qualcosa in più della semplice antipatia che, quest’ultima,  come tutte le cose può essere tollerata.
Come ho avuto modo di scrivere su queste stesse pagine, ognuno è libero di esprimere le proprie opinioni o considerazioni, ma non si possono scambiare le prime o le seconde per fatti e dati.
Avendo qualche conoscenza della festa del Patrono credo, senza paura di essere smentito, che la lottizzazione dei componenti della Deputazione della Festa di S. Antonio Abate non sia mai esistita, anche perché se ciò fosse avvenuto, sarebbe stato argomento da cavalcare nelle campagne elettorali e se ciò non è mai avvenuto, non è per rispetto al Santo Patrono, ma semplicemente perché non è è stata mai praticata.
Tranne che si voglia accreditare come nomine pure quelle eseguite a cavallo tra 800 e 900 e nomine impure le successive.
Allora mi chiedo: ma se erano allora i politici a nominare, queste erano anche lottizzazioni?
Troppo semplice e troppo fuorviante.
La verità è ben diversa e deve essere adattata al tempo.
Comunque, sempre per chiarire ogni dubbio, allora, mi riferisco ad oltre un secolo fa e fino alla guerra, il comune, come è giusto che fosse, sovrintendeva ai festeggiamenti, come fa ancora oggi ed aveva in più un compito di vigilanza, anche se questo non risulta dai documenti ma da quello che accadeva nei mesi antecedenti alla Festa del Patrono che allora si svolgeva in aprile.
Per organizzare la festa il comune non elargiva i contributi di oggi, ma permetteva agli operatori commerciali e non di praticare un sovraprezzo sui beni messi in vendita o sulle attività svolte.
Il sovrapprezzo che tutti i cittadini pagavano altro non era che il contributo per organizzare i festeggiamenti ed essendo tutto ciò pubblico ed alla luce del sole, qualcuno sorvegliava perché non ci fossero i soliti furbi che esistevano allora come esistono ancora oggi.
Al massimo, nei primi anni Ottanta, quando la Legge regionale n. 2 del 1978 o 79 ha permesso lo stanziamento di fondi da parte dei comuni, l’amministrazione comunale concedendo il contributo si è limitata a segnalare qualche componente, non più di due, su un totale di non meno di 15 componenti.
Quindi solo una presenza simbolica, e dico anche legittima dal momento che si spendevano soldi pubblici, allora come oggi, e non una occupazione “manu militari” come si vuole accreditare.
Anche questa semplice segnalazione, dopo la prima esperienza, scomparve, proprio perché i partiti politici che amministravano la cosa pubblica si resero conto che non aveva alcun senso e nessun effetto positivo o di ritorno elettorale, ma anche perché la rigorosità nella gestione dei fondi assegnati era massima e le deputazioni, assieme alle commissioni di cerei e partiti, che si sono avvicendate lo hanno da sempre dimostrato, rendicontando fino alla lira.
Poi dagli anni Novanta per motivi amministrativi il comune, non potendo assegnare contributi a comitati o associazioni al di fuori di un regolamento comunale che prevedeva una percentuale massima di elargizione su un tetto di spesa, agirò l’ostacolo e l’Amministrazione comunale, in accordo con la Deputazione della Festa, attraverso una determina sindacale nominava una commissione per i festeggiamenti nelle persone indicate dalla deputazione già esistente.
Quindi un escamotage per superare il rigore del funzionario comunale o del relativo regolamento.
Se vera lottizzazione c’è stata, ma non credo sia possibile provarla che sia stata fatta con quell’intento, è per qualche documento del comune che nomina la commissione della festa di S. Antonio Abate, risalente alla fine dell’Ottocento o dei primi del Novecento.
Ma anche in quei documenti non si evincono, ne sono arrivate alle nostre orecchie dopo un secolo, lottizzazioni o nomine per rendite, ceto sociale o altro.
L’unico atto che restava di nomina municipale è “ ’U mastru di vara” cioè il capo del fercolo del Patrono, cioè colui che sovrintende alla sua gestione e manutenzione.
Come tutti sappiamo, anche questa nomina municipale è caduta in disuso da circa un secolo e non avendo avuto mai qualcuno da ridire è andata avanti di fatto con una trasmissione ereditaria da padre in figlio al nipote.
Anche questa nomina anticamente non era fatta dalla municipalità per lottizzazione o per ceto, ma perché si indicava la persona che per mestiere, meglio di altri, poteva accudire a determinati lavori, come poteva essere un falegname.  
Non corrisponde neppure al vero che la composizione delle Deputazioni della festa del Patrono sono fatte per cooptazione del “sacerdote nominante” e che i nominati sono “accondiscendenti” ai giudizi del prete o addirittura ai suoi “pregiudizi” e comunque lontani dall’aspetto”storico-civile e ortodosso della festa”.
Come molti che leggono sapranno, faccio parte da tempo della Deputazione della Festa del Santo Patrono e nel tempo si sono avvicendati molti componenti e per ognuno di questi si è sempre aperta una serena discussione all’interno quando si è trattato di ricomporre il plenum.
Mai, dico mai, qualcuno ha considerato il plenum una sorta di consorteria accondiscendente ai voleri del “prete nominante”.
Anzi molti sono stati i momenti di confronto, anche accesi, ma dove la sintesi ha trovato sempre una risposta equilibrata ai problemi posti nell’organizzazione della Festa Patronale.
Posso raccontare, per quanto mi riguarda anche la mia vicenda personale che mi portò a chiedere alla Deputazione di entrare a far parte della stessa.
Lo chiesi singolarmente ed apertamente e la prima volta ebbi una risposta negativa, forse perché non tutti erano d’accordo o perché il plenum era al completo.
Dopo tre anni, cioè la festa successiva mi fu comunicato che ero stato invitato ad una riunione della Deputazione prima del 17 gennaio che precedeva la festa grande. 
Chi vuol accreditare altre tesi è libero di farlo, ma deve sostenerla con fatti e riscontri concreti e non semplicemente per il semplice gusto di voler criticare una istituzione o in questo caso, chiamiamo le cose con il proprio nome, il parroco Giovanni Condorelli.
Chi sa, chi conosce, chi ha vissuto esperienze precedenti, non solo riguardanti la festa, è a conoscenza della mancata armonia tra i due.
Chi sa, chi conosce ha vissuto personalmente le diffide legali inviate per appropriarsi di denominazioni storiche che appartengono alla comunità.
Ed allora per favore non utilizziamo la festa del Santo Patrono per altri scopi.
Infine come ho già detto e ripeto, ognuno è libero di pensarla come vuole e su questo piano rispetto tutte le posizioni anche se alcune non le condivido, ma certamente mi fa specie leggere una cosa e ricordare comportamenti diversi.
Se non condivido la festa del Patrono per come viene celebrata, certamente approfitterei dell’occasione, come fanno alcuni o tanti misterbianchesi, per passare qualche giornata al mare e non per alzarmi di buon mattino e portare con mano il proprio figlio, nipotino o cugino a far vedere l’uscita dei cerei o del simulacro sottoponendomi e sottoponendo la creatura che accompagno a “colpi di tromboni e di mortaretti”.

Carmelo Santonocito

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