L'esordio
poetico di Rita Caramma poetessa-giornalista. Una presentazione-lettura nella
cornice del Teatro dei Pupi di Acireale.
In un momento
in cui la poesia non sembra appartenere a nessuno, “Nella mia ricca
solitudine” silloge d’esordio di Rita Caramma appena edita dalla romana
“Il Filo” nella collana “Nuove Voci” – e che il Teatro dei Pupi di
Acireale ha accolto per la sua presentazione - sfronda ogni stimmate di
formazione che presuma di sottolineare rispondenze, implicazioni o affinità con
altri autori.
E se è stato lo stesso Angelo Scandurra a sottolinearne un
percorso d’eccezione in mezzo alla cultura (l’autrice collabora alla terza
pagina de La Sicilia), la solitudine di Rita Caramma si distilla “da quel
rodaggio e da quell’apprendistato di chi l’ha consumata dall’esterno” e
l’ha fatta intimo baluardo da cui non rifuggire il reale: piuttosto luogo
d’eccellenza da cui scrutarlo: in questo senso la citazione di un verso di
Alda Merini all’inizio della silloge - la vita è l’ambiente della
solitudine - pare più che esemplificativo.
In questo senso “Nella mia
ricca solitudine non è affatto “diario intimo” ma testimonianza etica che
ha nella lingua, nella forza portante delle sue immagini lo strumento
privilegiato nello scandaglio dei “microcosmi i nostri corpi”. Una lingua
– come ha sottolineato nella sua concisa postfazione Domenico Seminerio –
“semplice, aliena da neologismi e acrobatici sperimentalismi, che si mette a
nudo con pudore e riservatezza”.
Elvira Seminara invece nel corso di un
attento intervento, spigliato e mai banale, pur nella levità del suo incedere,
individua la cifra della poesia di Rita Caramma “tra fioritura e ferita”,
lungo un tracciato di tra le figure del vuoto “verginale ed intangibile”. Già,
perchè Rita Caramma “raccoglie sostanze e realtà impalpabili, sparisce nella
parola che sola arreda”; pur ricca di pulsioni opposte che solo la parola, con
un atto di audacia, riesce a risolvere.
Nell’orientamento nel caos che la
raccolta di Caramma addita, in questa appassionata “entropia
dell’esistenza”, la poesia è allora “cammino interiore”, approdo sulle
sponde di quella che Seminara, con un felice gioco allusivo, chiama
“isolitudine”, dove scrivere “della mia isola/ quella in cui vivo/ e
l’altra che sono”. Questa corposa plaquette dunque è all’insegna
dell’erranza e il libro è uno scampare dalle finzioni sociali e morali: non a
caso le sezioni - Esistenze sparse; Affetti; Amori in movimento; Liberi pensieri
– denotano una dinamica interiore davvero ribollente, insaziata. Una
sensibilità che rifugge da ogni consolazione, che attende anzi “l’aurora/
affamata di vita”.
In questa attesa fertile si compie allora quel “passo
indietro” dell’umanità verso la fragilità che Scandurra si augura la
poesia possa sostenere.Rita Caramma “Nella mia ricca solitudine”,
Edizioni Il Filo, Roma, euro 12,00.