Montecitorio, la musica è finita?

Pianisti




da repubblica.it
SE CI RIESCONO, è un fatto storico. Se davvero si riuscirà a estirpare da Montecitorio la mala pianta dei pianisti, per la prima volta da un tempo immemorabile il Parlamento italiano potrebbe rallentare, se non invertire la sua deriva verso il discredito e l'irrilevanza. Se, se e se.

Il periodo ipotetico e rinforzato è d'obbligo. Il nuovo sistema di voto che prevede il riconoscimento delle impronte digitali degli onorevoli dovrebbe scattare il prossimo 9 marzo e comunque sarà operativo su base volontaria. Le nuove tessere arriveranno tra un mese. Sono attese diverse verifiche tecniche. La prova generale, secondo un desiderio del presidente Fini, coinvolgerà probabilmente i giornalisti parlamentari. In quell'occasione si potrebbe anche conoscere il costo dell'operazione, che a ottobre veniva ufficiosamente stimato intorno ai 400 mila euro, che però già a dicembre erano lievitati a 550 mila.

In ogni caso si tratta di cifre che gli scettici accettano con qualche rassegnato sconcerto. Si può dire che i pianisti esistono da quando in aula è entrata l'elettricità. In un primo momento questi seguaci del voto plurimo, a più mani e per delega telepatica, furono detti "tastieristi" o "pulsantisti". L'immagine insieme poetica, digitale, prestidigitatoria e musicale del pianoforte si deve probabilmente, nella seconda metà degli anni settanta, alla irresistibile fantasia di Marco Pannella, non a caso figlio di una insegnante-concertista; e con significativa rapidità il "pianismo" all'italiana ha fatto il giro del mondo, tanto che quattro anni orsono il sovrano malese Iang di Pertuon Agong, in visita alla Camera, chiese all'allora presidente Casini chiarimenti e approfondimenti, pure richiedendogli una dimostrazione pratica.

Lungi dall'ingentilire la pratica, il timbro sinfonico accordato al nome di questo mini broglio d'aula ha senza dubbio contribuito alla sua sintomatica rinomanza. Nel 2002, ai tempi della Cirami, i girotondi organizzarono un vero e proprio concerto di pianisti (jazz) a piazza Navona, opportunamente sistemati su un palco dietro cui scorrevano le immagini di senatori votanti per conto di colleghi. Così come nel 2005, alla presentazione dell'ormai tradizionale concerto di Capodanno, con le medesime intenzioni polemiche il senatore verde Turroni ha distribuito ai presenti (tra cui Riccardo Muti) un finto spartito musicale, con tanto di "esecutori d'orchestra e coro della CdL, diretti dal maestro Pera" - che non la prese affatto bene.

Vero è che almeno due generazioni di presidenti convivono turbinosamente con i pianisti. Questi hanno in genere motivazioni politiche, ma a volte votano per non far perdere la diaria agli amici e ai compari assenti. I primi e del tutto vani giri di vite risalgono all'autunno-inverno del 1990, quando la Iotti organizzò uno speciale nucleo anti-brogli formato da commessi e funzionari che avrebbero dovuto ritirare le tesserine ai votanti telepatici per conto altrui. Da allora si sono inutilmente rincorsi i più vari metodi: cambi di sistemi elettronici, differenti tesserine, posti fissi, ronde di segretari. Procedimenti pure intervallati da grottesche tecno-pensate tipo maggiori lucette, controlli dell'iride, sensori sotto il banco. La scelta dell'imminente sistema a impronte digitali risulta ispirata dall'osservazione di un congegno in vigore - ma sul serio - nel parlamento messicano.

Nel corso degli anni e delle frequenti sceneggiate si segnalano anche illustre figure di avvistatori di pianistiche irregolarità, detti "vedette lombarde", tra cui gli occhiutissimi Bassanini e Buontempo. Ma pure finti assenti come l'indimenticabile Zamberletti che nella confusione dello scrutinio spariva sotto lo scranno per poi riemergere a sorpresa, una volta chiamato in causa, facendo "cu-cu!".

Inutile rimarcare quanto poco ha funzionato il complesso e ridondante complesso di sanzioni, richiami, richiami formali, deplorazioni, multe ed espulsioni. In pratica sono stati cacciati e sospesi pochissimi parlamentari, ma di tutti i partiti: l'ottantenne leghista Rossi, il ds Olivieri, il popolar tirolese Widmann, il berlusconiano Verdini. Ognuno di loro, in linea di massima, è stato poi discolpato se non apertamente difeso dal suo gruppo. Il "principe dei pianisti", senatore Lauro, di Fi, si è anche sdegnato presentando le dimissioni al suo capogruppo, senatore Schifani, che le ha respinte con solenne ed encomiastica formula.

Da Berlusconi a Bertinotti, passando per gli ex dc Marini e Giovanardi che essendo cattolici hanno parlato l'uno di "peccato generalizzato" e l'altro di "peccato veniale", molti potenti della Repubblica hanno ridimensionato il problema. Fini, c'è da dire, fa eccezione. Anche Casini, ma meno.

La vera pressione contro i pianisti viene piuttosto dall'opinione pubblica. Lo sviluppo della tecnologia delle immagini - telecannoni, moviole, telefonini - ha restituito al malcostume la sua macroscopica dimensione che a livello simbolico e pre-razionale concide con l'impressione, il sospetto o la certezza che "lì dentro", cioè in Parlamento, regnano l'inganno, l'imbroglio e la frode. E questo in fondo già basterebbe. Ma ancora una volta tocca dire: si vedrà.

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