"Molto rumore per nulla" da stasera allo Stabile di Catania

La commedia di Shakespeare vede il ritorno alla regia a Catania di Guglielmo Ferro. Una intervista.

Dall’affabulatoria trama
visionaria di Pessoa alla superba leggerezza di Shakespeare, Guglielmo Ferro
ritorna alla regia nella sua Catania con “Molto rumore per nulla” il testo
del grande bardo inglese da stasera sul palcoscenico del Teatro Verga. Guglielmo
Ferro ci viene incontro nel buio della sala, indaffarato a rifinire gli ultimi
dettagli dell’allestimento. “Confrontarsi con scritture diversissime e
lontane - esordisce -  in questo
consiste la mia coerenza ideologica”. Memore degli insegnamenti di un grande
maestro come Peter Brook la sua mano è intervenuta nella commedia di
Shakespeare “a sottrarre, per acciuffare il nocciolo della vicenda”.
Ovviamente siamo agli antipodi di “Troppu trafficu ppì nenti” che la penna
di Camilleri da Shakespeare ha offerto alla regia di Giuseppe Di Pasquale in un
allestimento che lo stesso Stabile catanese ha proposto neanche troppo tempo
addietro. “Quello – continua il regista - 
era una spettacolo (assai riuscito, d’altra parte) costruito per
sovrastrutturazione, una messa in scena arabeggiante di quell’<<addizionalista>>
di Di Pasquale. A me piace procedere per sottrazione. Chiariamo: quella era una
operazione che nella traduzione di Camilleri aveva la sua linfa vitale; questo
nostro invece tende a restituire spessore ad una commedia spesso considerata
impropriamente” (compresa la telenovela cinematografica di Branagh, n.d.r.).
Qui non c’è né amore puro né amore angelicato, ma ‘fatica’ (e non
‘rumore’ come spesso approssimativamente si traduce) attraverso la quale gli
uomini si avvitano ad inseguire quelle cose che riempiono la loro vita:
innamorarsi, fare finta di morire, morire davvero…” Dunque questa lettura
registica per sottrazione ha permesso agli attori di dare il meglio di sé. Sono
infatti concentrati nella scena, sorta di arena di sentimenti, di recitazione,
ma che è anche un’aula di tribunale, un’agorà, un teatro elisabettiano.
Insomma mi sono fidato del testo, dello spazio e degli interpreti”. E la
Sicilia che ruolo si ritaglia nello spettacolo? “Il contesto isolano
(Shakespeare ambienta la vicenda a Messina, ndr) vale solo per il comico:
abbiamo reso l’inglese maccheronico assurdo di Shakespeare, lungo quelle tre
scene farsesche, con una sorta di cacofonico miscuglio, un linguaggio inventato:
latino, francese spagnolo e arabo di grande effetto comico e l’abbiamo
affidato alla verve di Enrico Guarneri. E’ una operazione di cui vado fiero:
contiene quel po’ di cialtronaggine, quel po’ di gaglioffo che è tipica di
Shakespeare, cioè di un grande intellettuale che riusciva a scrivere teatro per
tutti”. Nomi di prima grandezza fra gli interpreti: Giulio Brogi, Mariella Lo
Giudice, Sebastiano Tringali, Mirko Pedrini Federico Grassi, Fulvio D’Angelo,
Tiziana Lodato, Enrico Guarneri e Cosimo Coltraro. Ruolo di rilievo pure per il
quartetto musicale, dei Nakaira (Mario Gulisano, Angelo Liotta, Antonio Curiale
e Piera Arena).Questi specialisti di musica celtica non si sono limitati a
realizzare il commento sonoro ma partecipano pure, da interpreti, all’azione
scenica.

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