Messa in scena a Roma la tragedia del marinaio Giuseppe Orofino, omaggio alla memoria

Giuseppe OrofinoUna tragica storia vera diventa una coinvolgente rappresentazione teatrale, “nobile e dolente”. Il drammaturgo Patrizio Pacioni, facendo anche “teatro d’inchiesta”, un giorno metteva in scena al Teatro Sociale di Brescia “La verità nell’ombra” ispirato alla strage di Portella della Ginestra, sulla base degli atti processuali.

Tra gli spettatori coinvolti, la misterbianchese Giusy Orofino, che si trova proprio a Brescia per lavoro. Giusy riesce a contattare l’autore e lo stimola a ricercare la verità su un’altra tragedia: la scomparsa nel nulla dello zio Giuseppe Orofino, marinaio fuochista, con l’intero equipaggio (19 italiani ed un gallese) con la sfortunata motonave Hedia al largo delle coste tunisine nel marzo 1962: “Perché non scrivi la tua verità? – lo esorta Giusy – Ti prego, racconta in teatro la storia di venti naviganti e l’angoscia di chi non ha mai avuto risposte e di chi si è sentito dire che non si può fare la guerra per diciannove italiani e un gallese. Tra quegli italiani, c’era anche lo zio Pippo. Ed io non ero ancora nata”.

Pacioni, scrittore multiforme e blogger romano che vive a Brescia, si mette così coraggiosamente al lavoro su una tragica vicenda rimasta misteriosa e senza risposte, aiutato da Giusy a ricostruire quel “naufragio” con giornali, foto e lettere del marinaio alla famiglia, tra le cronache del tempo e i numerosi articoli pubblicati in rete. Ora sta per mettere in scena dall’11 al 13 maggio prossimi al Teatro Golden di Roma il suo “Diciannove più uno”, che ripropone – mezzo secolo dopo - quel dramma autentico alla ricerca della verità, nel rispetto del dolore dei familiari. “Io e mio padre ci saremo” ci conferma orgogliosa Giusy.

Dopo 54 anni dal 1962, ancora nessuna prova, nessuna certezza, solo ipotesi. “Quando la Hedia scomparve al largo di La Galite – racconta a Misterbianco Concetto Orofino - mio fratello aveva ventinove anni e io ero imbarcato su un’altra nave. Quando tornai a casa vidi mia sorella vestita di nero e seppi la notizia, mi cadde il mondo addosso. Non mi volli mai rassegnare”. Non fu inviato alcun soccorso - così risposero alle immediate sollecitazioni – “perché si trattava di una nave battente bandiera straniera”.

Concetto – e con lui i figli Santo e Giusy - non ha mai accettato le varie ipotesi fantasiose, le dietrologie e le verità “ufficiali” sulla presunta scomparsa in mare di quei marinai, che pensa possano essere stati catturati e uccisi. Un “caso” complesso su cui si sono succedute ipotesi e perfino speculazioni di ogni tipo: da presunti collegamenti a traffici d’armi, alla guerra d’Algeria, all’Eni di Enrico Mattei. Una recente “ricostruzione” parlerebbe di cattura, tortura ed uccisione dei membri dell’equipaggio da parte della Marina francese, in quanto scambiati per presunti “fiancheggiatori” del Fronte di liberazione algerino.

“Fino all’adolescenza – dice Concetto Orofino - mio fratello era sempre con me, un punto di riferimento unico, come un padre e un amico, giocavamo e stavamo insieme. Mi manca sempre, ogni giorno ed in ogni ricorrenza. Avessi avuto almeno una tomba su cui piangere, sarebbe stato un modo per accettare una così grave perdita”.

Ora grazie al tenace Pacioni – arricchito dalla testimonianza di Concetto e dal vasto materiale fornitogli dalla figlia Giusy - torna alla ribalta quel “caso” che si cercò chissà perché di insabbiare in tutti i modi e su cui manca ancora la verità. Viene messo in scena, con una straordinaria “piece” di teatro d’inchiesta, dalla Compagnia Stabile Assai, la più antica compagnia carceraria italiana fondata da Antonio Turco, format e direzione Casa di reclusione Rebibbia in collaborazione con AICS: “un evento diverso dagli altri, uno spettacolo che è molto più di uno spettacolo”, su un “grottesco velo di reticenze ed omertà”. E’ comprensibile il timore che lo spettacolo possa ravvivare ancora di più nei familiari un dolore mai scomparso. Ma il fratello ed i nipoti misterbianchesi sperano che si possa contribuire, con quest’opera in scena che essi vorrebbero vedere rappresentata presto anche a Catania, a tenere viva una memoria ed a ricercare più convintamente la verità su un tragico ed assurdo mistero tuttora irrisolto. E magari, come diciannove altre famiglie, poter finalmente piangere su una tomba.

Roberto Fatuzzo
La Sicilia
09/05/2016

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