MARKETING POLITICO o...POLITICA IN ESTINZIONE..?

ovvero..VERSO L’INCIUCIO DELLE LARGHE INTESE.

A sei mesi dalla proclamazione del governo Prodi le misure del risanamento non sono state ancora né delineate nè discusse con autorevole responsabilità.
Si sperava che ci fosse almeno la volontà di rendere effettivi i diritti dei cittadini con la razionalizzazione di adempimenti urgenti, invece lo spettacolo a cui assistiamo è un continuo stillicidio di ripensamenti, una torre di babele dove si parla una lingua incomprensibile, che impedisce la percezione delle scelte politiche, un circolo vizioso che genera insicurezza e sfiducia tra gli stessi elettori.

Se il governo ha delle idee per uscire dal marasma, li metta subito in pratica a partire da questa sua prima finanziaria di governo.
E’ necessario il coraggio delle decisioni, perchè questi continui tentennamenti o situazioni di “tiramolla” creano imbarazzo e disegnano l’impressione di trovarsi tra mercanti che tirano per il proprio particolare.
In questo marasma, tuttavia, le obiezioni sollevate dai ceppi più consistenti della destra politica mi appaiono sfacciatamente strumentali e sembrano voler spingere ancora il Paese sull’orlo del baratro, più di quanto hanno fatto durante il loro disastroso mandato governativo per proteggere angusti interessi di parte.

Ora ci sarebbe molto da fare; in particolare c’è l’esigenza di ripristinare il valore della verità e della legalità, e con esse le fondamenta storiche ed etiche della Repubblica dopo l’ubriacatura del berlusconismo, il quale ci lascia l’eredità amara di uno stato sociale debole che non riesce ad esprimere un “rivoluzionario” governo.
Sta proprio qui la nostra anomalia: uno Stato debole dinanzi alla troppa forza delle corporazioni e dei veri ricchi, una società impazzita dal disagio consumistico di una vastissima parte di popolo e dai facili arricchimenti di un’altra parte, senza voler porgere una mano o tentare col “chi più ha, più deve dare” per sollevarci dal caos del disordine sociale ed economico.

Dunque, nessuna meraviglia a certe esternazioni di Prodi.
Non sono per nulla un “ prodiano”, anzi provengo da contrade ideologiche molto distanti dalle sue, ma nell’attuale situazione egli stavolta ha detto la verità: questo è veramente un Paese impazzito, che da tempo vive al di sopra delle proprie possibilità grazie all'evasione fiscale e al lavoro nero.
C’è poi un debito pubblico di notevoli proporzioni perchè troppi sprechi sono stati fatti per disonestà d’impiego e per inefficienza.
Tutti pretendono diritti ma non riconoscono doveri; ed ogni categoria è diventata una corporazione che bada solo ai propri interessi, mentre sono pochissimi gli uomini pubblici che hanno il senso dello Stato e lo spirito di servizio.
E quella rara volta che nella fase di programmazione finanziaria si tenta di far prevalere l’interesse generale della collettività, il principio della democrazia conduce a scelte difficili e, se invece lo si applica, insorge il corporativismo a paralizzare il governo dell’economia, mentre la maggioranza dei cittadini, che ha un’idea vaga del proprio interesse generale, resta vittima di quella sua stessa sovranità assai limitata e raramente si mobilita per difendersi.
E quel che più rattrista è che mezza Italia si lascia ancora abbindolare dai figuri del centro-destra, affidandosi a despoti della grossa finanza, manovratori mascherati con la beffarda facciata del populismo e della pseudodemocrazia, portatori di interessi personali e di corporazioni lobbistiche che hanno istituzionalizzato nello Stato gli interessi particolari a danno di quelli generali.
Con l'aiuto di governi compiacenti essi sinora hanno spostato progressivamente il peso del carico fiscale sempre più sui semplici cittadini e sulle piccole aziende.

Le lobby del corporativismo sono sempre un pericolo per la democrazia. L’obiettivo delle loro riforme è quello di continuare a smantellare lo stato sociale col risultato di privilegiare le classi benestanti e le finanze private, cioè l’accentramento delle ricchezze per chi è già ricco e l’impoverimento per chi a stento arriva alla fine del mese.
Del resto sappiamo già che le grandi corporazioni e i ricchi individui evitano sempre il loro dovere di contribuire alla società tramite il pagamento delle tasse.
Ma il male sta anche nel falso bipolarismo che vige in Italia: due coalizioni soltanto differenziate nella denominazione ma indistinguibili nei fatti. Esse sono la risultante della crisi di un sistema demenziale, fabbricato dalla mistificazione prodotta dal potere economico col finanziamento occulto o palese ad organi d’informazione, ai capetti di partito e ad una classe politica riciclata, costituita in maggioranza da voltagabbana e trasformisti.
E quando le scelte politiche di un governo provengono da personaggi di tal natura, allora diventa indifferente se chi sta al governo sia il centrodestra o il centrosinistra.

Cosa rimane da fare, dunque; quali sono oggi i valori e gli obiettivi che possano accendere le fantasie e le speranze del nostro popolo.
Scartata già col voto dello scorso Aprile la riproposizione della negativa esperienza del centrodestra, adesso il mandato politico è affidato alla coalizione del centrosinistra.
Bisogna porsi allora la domanda cosa vuol dire sinistra. E la risposta sarebbe quel progetto che dovrebbe tradursi nel controllo pubblico dei grandi servizi di interesse collettivo, nella eliminazione delle sperequazioni fiscali, nella programmazione degli investimenti e nella realizzazione del pieno impiego, attraverso il risanamento dei più gravi squilibri sociali e territoriali.
Ma la verità è che questa sinistra sembra non essere più la sinistra che vogliamo. Le personalità che la rappresentano hanno subìto la vittoria della cultura neo-liberista ed invece di andare controcorrente si sono lasciate trascinare sino a finire nel grembo del potere egemonico.
Occorrerebbe che la sinistra tentasse di recuperare il suo perduto linguaggio, la linfa vera della sua missione, elevando la collettività ad una società di uomini liberi dal bisogno ed eguali nei diritti, con la consapevolezza che il rigore deve iniziare dalle categorie che si sono arricchite negli ultimi anni, e deve partire dall’alto da chi ha eluso le imposte e da chi le ha evase.

Il cammino su questo fronte potrebbe aprire nuove prospettive ad un programma di risanamento, anche se problemi e tensioni sicuramente lo accompagneranno, ma nell’Italia delle lobby ci sono riforme da fare senza preavviso, se davvero c’è la volontà di farle.
Dopo si potranno individuare i miglioramenti possibili con la concertazione delle categorie interessate, ma i principi di fondo e gli obiettivi che le animano non devono essere messi in discussione.
Bisognerebbe anche sfatare i beffardi miti della libera iniziativa privata, perchè nel corso degli anni abbiamo imparato a conoscere i loro protagonisti vecchi e nuovi, i quali, all’occorrenza e nel momento dei guai, si sono sempre rifugiati affidandosi a questo “non terribile” Stato che li ha sostenuti a fior di miliardi.
Ricordiamolo, a coloro che fingono di dimenticare la storia, che la ricostruzione dell’Italia devastata dalla guerra e la sua economia furono rimesse in piedi proprio da quello Stato voluto dalla resistenza.
E l’industria dell’energia la dobbiamo all’ENI di quel magnifico “statalista” Enrico Mattei, il quale fu assassinato dalla mafia della finanza privata per impedirgli di costruire il nuovo percorso che avrebbe dovuto portare la società italiana verso il benessere collettivo.
Cosa hanno portato, invece, i fondatori dell’iniziativa privata e del capitalismo selvaggio?
Soltanto continue guerre di dominio economico, terrorismo e caos, accompagnati dai ladrocini dei grandi azionisti e dei furbetti, dalla crescita della criminalità organizzata e dal declino delle socializzazioni; ed infine l’insano tentativo di un ponte sullo Stretto progettato dai padrini della finanza con le complicità di oscuri poteri e di politici compiacenti.

Anche in politica estera non è più possibile pensare ad un pianeta dove l’economia speculativa e l’ingordigia del profitto prevalgano su qualunque etica, su qualunque diritto civile e umano.
La politica estera del nostro governo dovrà rifiutare ed impedire il sostegno verso chi pretende di mantenere in gran parte del mondo vaste sacche di povertà e deserti di disperazione su cui sperimentare la nuova teoria economica delle “guerre preventive”, programmate e dichiarate dalla logica di rapina degli imperi finanziari, in primo luogo dagli USA, i quali, nel nome dell’antiterrorismo e della libertà, utilizzano gli arsenali bellici per portare il terrorismo militare e “la democrazia autoritaria” ai popoli esasperati del pianeta Terra.
A Nassirja i nostri carabinieri morti ci hanno reso questa tragedia ancora più amara dal fatto che la nostra copertura si è trovata di fronte a popolazioni sfruttate e martoriate dall’avidità economica delle multinazionali occidentali, le quali si avvalgono di quei mostruosi regimi compiacenti, spesso confezionati, usati ed all’occorrenza riforniti d’ogni sorta di armamento distruttivo proprio dagli Stati Uniti.
E mentre è da condannare la follia terroristica in qualunque modo si manifesti, ora necessariamente dovremmo cominciare a riflettere su una ingiustizia sociale in un mondo dove solo un quinto dell’umanità conduce un tenore di vita che consuma l’83 % delle risorse mondiali.

Ci sono tante buone ragioni per cominciare a preoccuparci.
Ma ora si è perso molto tempo. Dunque, si metta subito al lavoro il governo, perchè già troppo a lungo il treno Italia è rimasto fermo al capolinea. E la storia non aspetta.

Addì, 16 Novembre 2006
( ENZO ARENA )
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