Mafia, condannati i fratelli Riela. Dipendenti: «La giustizia trionfa sempre»

Riela GroupArriva la sentenza di primo grado per il filone con rito abbreviato. Condannati a sei anni Rosario e Filippo Riela per i reati di concorso in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni e truffa aggravata.

Condanne anche per Luigi Riela e Vincenzo Carelli, che ricopriva il doppio incarico di consulente esterno della società confiscata e presidente del consorzio Se.Tra, diventato creditore dello Stato e i cui soci occulti erano sempre i fratelli Riela. Confermato, dunque, quanto denunciato in passato dagli stessi dipendenti che avevano provato in tutti i modi a salvare l’azienda oggi in liquidazione.

Dietro al fallimento del gruppo Riela, dopo la confisca, c’erano sempre loro: i fratelli Riela, Rosario e Filippo. Titolari occulti di quel consorzio Se.Tra che era diventato rapidamente il principale creditore della società di trasporti passata nelle mani dello Stato. Come anticipato dal giornalista Antonio Condorelli su LiveSicilia, ad un anno di distanza dai primi arresti, è arrivata la sentenza di primo grado che condanna Rosario e Filippo Riela a sei anni per concorso in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni e truffa aggravata. Pena più lieve per l’altro fratello, Luigi Riela: 4 anni per il reato di intestazione fittizia. Condannato a 2 anni e 8 mesi anche Vincenzo Carelli, che ricopriva la doppia funzione di consulente esterno della società confiscata e, allo stesso tempo, presidente del consorzio Se.Tra.

«La giustizia alla fine trionfa sempre». E’ il commento di Mario Di Marco, uno dei due dipendenti della società Riela rimasti in organico, per completare le fasi di liquidazione. Lo stesso Di Marco era stato durissimo alla vigilia della chiusura del gruppo, avvenuta il 30 aprile del 2012. «Lo Stato è burocrate e non sa gestire le imprese. Se chiudiamo, è perché in realtà comanda un altro Stato, quello della mafia, ed è questo che dovrò insegnare ai miei figli», aveva commentato allora. Ma le condanne di oggi restituiscono un briciolo di speranza. «Chiudere un’azienda confiscata è un segnale terribile – spiega – non so se la decisione dei giudici possa aiutarci in qualche modo, ma ci auguriamo che qualcosa possa ancora cambiare». Ci avevano provato in tutti i modi i lavoratori a salvare l’azienda, anche rinunciando allo stipendio per finanziarla. Ma lo sforzo è stato vano e gli stessi dipendenti avevano denunciato pubblicamente quanto oggi viene messo nero su bianco dalla magistratura: «Noi che abbiamo creduto nello Stato e nella legalità veniamo mandati a casa a pedate, mentre verrà pagato chi vanta crediti e quindi i soldi saranno restituiti agli stessi mafiosi», spiegavano ad aprile del 2012. Due mesi dopo scattava l’operazione Apate, con custodia cautelare in carcere di Francesco Riela (già condannato all’ergastolo per omicidio e associazione mafiosa) e del fratello Filippo. Oggi arriva a giudizio il primo ramo del processo, quello con rito abbreviato.

Dalle indagini patrimoniali condotte dalla guardia di finanza, su disposizione della procura di Catania, successivamente sono state indagate altre 18 persone accusate di intestazione fittizia di beni, attualmente sotto processo. Mentre undici società sono state sequestrate. E’ soprattutto attraverso il consorzio Se.Tra che i fratelli Riela continuavano a indirizzare le sorti della loro ex azienda. Tutti i clienti del gruppo divennero rapidamente clienti del nuovo consorzio, in cui erano presenti prestanomi e famigliari come Giuseppe Spina, zio di Francesco Riela , e rappresentante legale di una delle aziende, la Nsl, che aveva assunto come collaboratore a contratto il fratello Filippo. Mentre la società confiscata, e quindi lo Stato, diventavano debitori di sei milioni di euro nei confronti del consorzio.

«Forse grazie a questa indagine riusciremo a fare chiarezza sulla fine dell’azienda», aveva promesso il procuratore capo Giovanni Salvi. Le condanne in primo grado di oggi potrebbero essere solo l’inizio.

ctzen.it
01/08/2013

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