La libera riduzione del capolavoro di Luigi Natoli è di Gaetano Savatteri e di Giuseppe Di Pasquale (che è pure il regista). In scena un cast di tutto rispetto e del quale fanno parte Giulio Brogi, Pippo Pattavina e Ruben Rigillo.
“Si
cunta - notava nel lontano 1873 Salvatore Salomone Marino dal racconto della sua
“creata” Francesca Campo - “ca a tempi arreri cc'era 'na Sucità di
maistri e di populu abbàsciu ca difinnìanu li gritti di li boni aggenti, e li
vinnicavanu contra li priputenti ricchi e li nobili ca avìanu lu putiri 'mmanu
e faciànu angarii e cosi torti a la pupulazioni...” La “società” è
quella dei “Beati Paoli” che la penna di Luigi Natoli, il Dumas siciliano,
addensò in uno dei romanzi più famosi della nostra letteratura (prima
pubblicato a puntate sul Giornale di Sicilia, di nuovo a puntate sul
giornale "L'Ora", poi edito da Fausto Flaccovio nella versione principe dopo le stampe,
nel 1921, per la casa palermitana Gutemberg). Proprio con la prima assoluta de
“I Beati Paoli”, nella libera riduzione di Gaetano Savatteri e di Giuseppe
Di Pasquale (che ne ha pure curato la regia) il Teatro Stabile di Catania
inaugura stasera il suo cartellone. Con il piccolo “giallo” del mancato imprimatur
della curia catanese che si è rifiutata di concedere la monumentale chiesa
benedettina di San Nicolò La Rena, scenario quasi d’obbligo alla sontuosa e
complessa trama del romanzo. “Così - precisa Di Pasquale - abbiamo
dovuto condensare nello spazio limitato della scena l’epopea dei Beati Paoli,
virtualizzando con le diapositive la suggestione del reale; un trasferimento di
una idea di scenografia che comunque preesisteva, incentrata su un grande
spiazzo lastricato: è una Sicilia pietrificata, che annulla la scenografia
settecentesca e tardo barocca di Palermo. E poi la base di pietra è un topos,
l’origine e la fine del nostro rapporto di siciliani col mondo”.
E’ la prima volta che il teatro si cimenta nella trasposizione di un testo così
ampio e complesso anche se, nel lontano 1864, Benedetto Naselli ne aveva
fatto un dramma teatrale "I Beati Paoli o la famiglia del
giustiziato"; in tempi assai più recenti il
Teatro dell’Elica lo trasformò in radiodramma, con Giorgio Albertazzi. Certo
più lontano, nel 1947, il tentativo di portare “I Beati Paoli” sul grande
schermo: lo fa Pino Mercanti con “I cavalieri dalle maschere
nere”. Ovviamente la spessore e la consistenza di questo romanzo consolatorio
- lo scopo di questa setta era infatti
quello di soccorrere e di vendicare il debole, il pupillo e la vedova - non
potevano essere liberate in un unico spettacolo: ecco perché Di Pasquale e
Savatteri hanno deciso di ripartire “I Beati Paoli” in due distinte
rappresentazioni autonome, sequenziali, ognuna in due tempi teatrali, ad una
settimana di distanza l’una dall’altra. La vicenda “teatrale” si apre in
notturna, all’inizio del 1698, nella Chiesa di S. Cosmo; il luogo, nel
mandamento Monte Pietà, largo di S. Cosmo e Damiani, è lo stesso in cui, a
sentire la testimonianza di Giuseppe Bruno Arcaro, alla fine dell’800, la
setta esercitava le sue “tenebrose incombenze”. Sullo sfondo del rapido
succedersi della monarchia spagnola, poi savoiarda, della spagnola e infine
della austriaca la setta di sgherrismo
e di valentismo, poi dilaniata dal conflitto tra due generazioni di fratelli, si trasformerà
in una banda di vendicatori violenti. A sostenere il peso drammaturgico del
testo, un cast di valore assoluto: Giulio Brogi (Matteo Lo Vecchio), Pippo
Pattavina (Don Raimondo Albamonte), Pietro Montandon (Coriolano Della Floresta),
Marcello Perracchio (Don Girolamo Ammirata), Ruben Rigillo (Blasco di
Castiglione), Mimmo Mignemi (Barabino), Matilde Piana (Francesca Ammirata; Peppa
La Sarda), Francesco Di Vincenzo (Principe di Iraci), Barbara Tabita (Donna
Gabriella), Orazio Mannino (Padre Bonaventura), Angelo Tosto (Andrea Lo Bianco),
Giovanni Carta (Emanuele Albamonte), Camillo Mascolino (Marchese di San
Tommaso), Raniela Ragonese (Madre Badessa; Zia Nora), Barbara Giordano (Violante
Albamonte). I costumi e le sculture sceniche sono di Angela Gallaro, i movimenti
coreografici di Silvana Lo Giudice, Domenico Patti è il maestro d’armi, le
musiche di Massimiliano Pace. “Non ammicchiamo certo – suggerisce Di
Pasquale - all’opinione che vede nel romanzo la legittimazione della mafia:
piuttosto una divertente e divertita indagine sul rapporto tra la proiezione dei
sogni del popolo e l’aspirazione ad un superuomo”. Insomma, tra Voltaire e
Nietzsche, con un doveroso avvertimento: “Qualora la si prendesse sul serio,
la prospettiva superomistica diventerebbe pericolosa. Col gioco ironico sulla
vicenda e sui personaggi invitiamo invece il pubblico a divertirsi all’interno
di quel sogno che è il teatro”. La realtà è ben diversa, non è feuilleton…