La festa della Madonna degli Ammalati d'una volta...

Piano Madonna degli AmmalatiSarà stato il ricordo sempre vivo di quell’estate di fuoco del ‘43, quando i misterbianchesi già da metà luglio, per via dello sbarco degli Alleati in Sicilia, sfollarono in massa per raggiungere in tutta fretta le vignazze di contrada Madonna degli Ammalati, dove ogni famiglia del paese aveva un po’ di terra con una casetta, per evitare i rischi delle cannonate nemiche della marina, che non guardavano in faccia a nessuno, e che cadevano dappertutto, come pioggia, fino a dentro le case dei misterbianchesi.

Sarà stato per la gran calura estiva che ogni anno aveva il perno nel mese di agosto, “obbligando” i misterbianchesi di notte a dormire con le porte e finestre aperte, a mezzogiorno e sera a mangiare nel cortile o davanti l’uscio di casa, proprio sulla strada, soprattutto nei quartieri più popolari, e poi la sera, fino a notte fonda, seduti davanti casa, a godere il fresco, a discutere, a ridere e a raccontare storie antiche e miniminagghi siciliani.
Sarà stato che quelle contrade amene, quei poggi, alture, colline, fosse, terrazzamenti, pianure incontaminate, a tratti selvaggi, quelle vignazze, aranceti, uliveti, mandorleti, richiamavano ricordi ancestrali della vita d’un tempo lontano, di cosa c’era prima, di come si viveva una volta, tra il querceto e il fiume Amenano, lassù a Monasterium Album, e riecheggiavano quasi “l’atmosfera” dell’antico paese sepolto dalla lava, vinto dall’Etna, nel marzo del 1669, o le scampagnate e i giorni felici di gioventù, i giochi, gli amici, la ricerca della Truvatura, come fosse il Santo Graal, le scorpacciate di fichi, di minicucca e di noci, raccolti nel “campo dello zio”, e le infinite battaglie d’acqua, di meloni e di pale di fichi d’india, così quelle chiuse (come li chiamavano i vecchi) avevano un fascino irresistibile per tutti i misterbianchesi “ccu l’ògghiu bonu”, ed erano la meta ambita per vivere serenamente le ferie d’estate.

Sarà stato che i tempi moderni “impongono” a tutti di prendere le ferie d’agosto, il meritato riposo dei lavoratori, e dopo i giorni di mare e di montagna, dopo le gite e le vacanze, tutti i paesani desideravano trascorrere agosto e settembre in campagna, alla Madonna degli Ammalati.
Sarà stato tutto questo, e forse tant’altro ancora; la verità è che i misterbianchesi, subito dopo ferragosto, si trasferivano in massa nei luoghi cari della Madonna degli Ammalati per ritemprare la mente e il corpo, per rigenerarsi e aspettare in “trepida attesa” la tradizionale e annuale festa in onore di Maria SS. degli Ammalati, che si celebrava, e si celebra, nella chiesetta omonima, ubicata a pochi chilometri al nord del paese, la seconda domenica di settembre.

E così dopo il 15 agosto, Ferragosto e festa dell’Assunzione di Maria, il pensiero di tutti correva veloce verso quei luoghi ameni, sicuri di poter trascorrere una felice e serena vacanza. Ma dopo un intero anno di “distacco” bisognava “rinfrescare” la casa e il terreno circostante, e così, qualche giorno prima della partenza, il capofamiglia, spesso aiutato dal figlio maggiore, andava in avanscoperta, di buon mattino, per ripulire il terreno circostante e liberarlo da erbacce e frasciame, potare i rami più irti degli alberi, sfoltire le aiuole, sfrondare le siepi, bruciare la gramigna. E mentre il marito pensava al terreno, la moglie, aiutata dalla figlia più volenterosa, rassettava la casa, spolverava i mobili, puliva la cucina e il bagno, sistemava i letti, lavava il cortile e il terrazzino. Tutto doveva essere in bell’ordine per l’imminente arrivo dell’intera famiglia. Inoltre, se occorreva, si facevano piccole riparazioni nell’impianto elettrico, si ritinteggiava la ringhiera, si lucidavano le porte, si sgrassavano i pavimenti, insomma, tutto doveva essere pronto per accogliere nel migliore dei modi la famiglia e gli amici.

E intanto iniziava il trasporto di tutto l’occorrente, l’indispensabile e il superfluo, per vivere comodamente e felicemente la lunga villeggiatura. Dalla salita di Felis, in quei giorni, si vedevano “arrancare”, come asini, le Seicento, e qualche Millecento, piene zeppe d’ogni mercanzia, d’ogni ben di dio. Innanzitutto, la televisione, che non poteva assolutamente mancare, poi le carte siciliane da gioco, la tombola, il monopoli, qualche libro, alcune riviste, e poi il necessario per la cucina, cassette di pomodori e di frutta, farina, uova, melanzane, olio, aceto, fiaschi di vino , e poi di tutto e di più, fino a riempire il cofano e l’abitacolo e il tetto della macchina, fino all’inverosimile, tanto che a volte occorrevano altri viaggi per trasportare l’intero fabbisogno familiare.
Dopo l’alloggiamento, che poteva durare anche giorni interi, il pensiero più pressante era dover “riempiere” le lunghe mattinate di caldo. Le donne di casa, spesso aiutate dai mariti, iniziavano le lunghe e faticose, ma allegre, operazioni di preparazioni delle “bottiglie” (le passate di pomodori per l’inverno), o delle “mostarde” di fichi d’india o di mosto dolce, o l’essiccazione dei fichi e dell’astratto, o s’adoperavano a raccogliere mandorle, bastardoni, noci, o verdure fresche, gardenia, finocchio rizzo, asparagi. E i ragazzi cosa facevano? Per loro le mattine “avevano l’oro in bocca”, dopo un’abbondante colazione, a base di pane e frutta di stagione o di pane e latte, iniziava l’avventura, con tutto un mondo da scoprire! I ragazzi, con la complicità di cugini e amici, “agganciati” anche dai casolari vicini, si scatenavano in mille giochi di squadra, a nascondino (a mùccia mùccia), in mezzo alla natura selvaggia del luogo, tra macchie di fichi d’india e alberi d’ulivo; al calcio, nel cortile di casa o in uno slargo in terra battuta; alla “battaglia” con due “eserciti” avversari, con tanto di quartier generale, comandante, soldati e artiglieria leggera; certe mattine si organizzavano persino delle “battute di caccia” indimenticabili, contro… lucertole, topi, scorsoni e farfalle. Ma il gioco prediletto dei ragazzi del tempo era esplorare ed “essere” archeologi. Quindi, si preparavano di buon mattino, dopo avere progettato la zona da esplorare già la sera precedente, con gli obiettivi da perseguire ed eventuali risultati da conseguire. Innanzitutto era indispensabile un buon abbigliamento con scarponcini, torcia elettrica, zaino, acqua fresca e pranzo a sacco. Il campo da esplorare era immenso, copriva l’intera contrada, s’andava da Sant’Antonio Raito a Santa Margherita, dal Querceto fino al Campanarazzu, il “sancta sanctorum”, il cuore del mistero, con “immersione” tra i famosi ruderi e la sciara viva, si tentava di scavare, cercando grotte e misteri inviolati, alcuni, gli “esperti”, prendevano pizzi di lava, da “analizzare” poi a casa, altri facevano delle fotografie; si racconta che in certi anni, dei giovani volenterosi e arditi siano riusciti a penetrare all’interno, nel buio delle antiche vestigia della chiesa, fino a toccare il pavimento, addirittura, narrano le leggende metropolitane, che abbiano asportato persino dei frammenti di marmo e qualche piastrella, come… souvenir della fantastica avventura, e come prova del successo raggiunto. Poi, nel pomeriggio, dopo aver consumato il pasto tra i ruderi, le ginestre e le zazzamite, si ritornava a casa, stanchi ma orgogliosi d’aver scoperto… ‘a Truvatura! E la sera, attorno al “pozzo dei desideri”, al chiaror della luna, raccontavano a tutti le loro fantastiche imprese, le “scoperte storiche”, le ipotesi, le prospettive; si sentivano dei veri archeologi, storici dell’arte, esperti di reperti antichi.

Ma poi all’improvviso, senza neppure accorgersene, si arrivava dritti dritti ai tanto “sospirati” giorni della festa della Madonna degli Ammalati. La festa, una volta, era semplice, forse più umile, ma molto sentita, coinvolgente, partecipata, soprattutto attesa (dai più giovani), vissuta attimo per attimo, fino alla fine. Era, veramente, la festa dei ragazzi.
E chi riusciva a prendere sonno nelle notti del venerdì e del sabato!? Tutti i devoti villeggianti attendevano con ansia la notte del venerdì, e il rintocco della campana che annunciava l’arrivo della processione per le strade buie, illuminate solo dai falò che molti proprietari del luogo accendevano davanti il proprio cancello, per omaggiare e salutare il passaggio della storica campana dei Bruno, trasportata dalla famiglia Baudo e da tutti i mustarijanchisi. Il trasporto della campana era partito puntuale, alle quattro del mattino, dalla chiesa di San Nicolò, e nel silenzio della notte quel dolce rintocco a volte sembrava vicinissimo, altre volte lontano, le “orecchie esperte” percepivano la distanza, la posizione lungo il tragitto, ma anche il cuore dei ragazzi batteva all’unisono con il battaglio dell’antica campana, simbolo di devozione e di identità per la comunità misterbianchese. Spesso qualcuno soleva anticipare il proprio gruppo per “accogliere”, al Piano, l’ingresso trionfante della campana e della processione. Il “Viaggio” poi si ripeteva sabato mattina, con partenza alle sei dalla Chiesa Madre, con preghiere, atti di devozione popolare e invocazioni alla Vergine Maria, con il sole già alto, e i cuori dei misterbianchesi pure. Appena arrivati al Piano, per tutti, c’era il “rito” della colazione. Non ricordo in vita mia colazioni più buone e più desiderate di quelle fatte dopo il “Viaggio”! I ragazzi, seduti sui muretti, consumavano di tutto, brioche allo zucchero, biscotti e nutella, pane e mortadella, mele, noci, minicucca. Che delizia!

E poi c’era ‘a Cantata! Attaccava la banda,… “Zimpara-pappappà, la Madonna ‘e Malati…” e con gli occhi pieni di lacrime si cantava, si pregava, si invocava la Madre Celeste, tutti insieme, giovani, adulti, donne, uomini, era una “marea umana”, che ondeggiava ed esultava con una voce sola e un cuore solo. Tutti i paesani conoscono l’Inno a Maria, sin dalla più tenera età. Ma la Cantata non è solo melodia e preghiera, di più, è luogo immateriale dell’anima, impalpabile, irraggiungibile, di più, è memoria e identità, storia e cultura, tra quelle note c’è la gioia e l’esuberanza dei più giovani, il ricordo e la nostalgia dei più anziani, il fiato e il sangue d’un intero popolo. Un patrimonio artistico e culturale da custodire gelosamente e da preservare per la future generazioni di concittadini.
E poi arrivava la Domenica. La messa mattutina al Piano aveva un fascino irresistibile, c’era qualcosa di magico, con quella luce tenue dell’aurora che accendeva i volti e i pensieri di tutti, che favoriva la preghiera, che nutriva desideri di pace e di gioia. Era il giorno tanto atteso della festa da Madonna ‘i Malati. Proprio in quell’occasione molti misterbianchesi emigrati in altri paesi, solevano venire e darsi appuntamento con parenti e amici per rinsaldare i rapporti, si passeggiava tra gli alberi di minicucca e si ricordavano i bei tempi passati nel “natio borgo”.
Subito dopo la messa iniziava una manifestazione culturale tra le più caratteristiche dell’intera festa, che nel tempo s’è perso persino il ricordo: “La Rassegna di poesie in onore alla Madonna degli Ammalati”. Era un’iniziativa molto interessante, organizzata dalla Commissione dei festeggiamenti, e coinvolgeva poeti nostrani e non, che ogni anno si davano appuntamento al Piano per declamare i loro versi, in maniera semplice, sul muretto adiacente al Santuario, seguiti da un pubblico attento e numeroso che amava la poesia in vernacolo siciliano, su un tema specifico che ogni anno cambiava, ‘A Cantata (1978), ‘U Chianu (1979), ‘U Quadru (1982). Nel corso delle varie edizioni si sono alternati sul palco i nostri maggiori poeti, eredi della più genuina tradizione culturale contadina misterbianchese, i cui nomi sono patrimonio della città: Titta Abbadessa, Neddu Bruca, Neddu Calcagno, Nino Giuffrida Condorelli, Gaetano Petralia, Nunzio Petralia, Mimmo Santonocito, Gaetano Sava, Turi Malerba (che rivestiva anche il ruolo di presentatore), (nell’edizione del 1979, a soli 16 anni, anch’io partecipai con un mio componimento sull’argomento di quell’anno, ‘U Chianu, che conservo gelosamente). Erano pagine di letteratura siciliana, di notevole valore artistico e culturale, che la società dell’epoca riusciva ancora ad esprimere, prima dell’omologazione, dell’appiattimento e dell’emergenza educativa d’oggi.

Poi, al termine del raduno, i poeti scendevano tra la gente, che gli si accalcava attorno, mentre loro distribuivano la copia delle poesie appena declamate, quasi come fosse un “volantinaggio politico”, (conservo anch’io, come cimeli, molte fotocopie d’allora, alcune erano persino in carta patinata con la foto dell’autore). Credo che questo “gesto”, un vero omaggio al popolo dei devoti, sia tra le cose più significative e originali della cultura misterbianchese e siciliana. L’incontro tra il poeta e il popolo, per uno scambio di idee, di impressioni, di valutazione; una maniera semplice, vera, gratificante, di fare cultura. Veramente, un segno d’altri tempi! Poi c’era la tradizionale “asta devozionale” bandita, nel corso degli anni, da alcuni personaggi storici della città, che con la loro capacità, la loquacità, la verve, il carisma, riuscivano a intrattenere, a divertire, a “fare spettacolo” ed a vendere, per devozione, mille oggetti offerti da negozianti e artigiani locali, dalle galline agli orologi, dalle quartare (pezzi da collezione quelle fatte e donate da Nino Santonocito, ‘u stagninu) agli zainetti, dai quadri alle bottiglie di vino, e a tanti altri oggetti da collezione. Ogni anno, una piazza traboccante di misterbianchesi partecipava attivamente all’asta, decretando il pieno successo della manifestazione, con una cospicua somma di denaro raccolto in onore alla Madonna. I banditori che ricordo sono stati, negli anni ‘60 e ‘70 Pietro Santonocito Marianna, poi Mimmo Santonocito, per ben 38 anni, e attualmente, Nicola Abbadessa.
Poi, il pensiero d’ognuno ritornava alla casa, alla famiglia, al pranzo del giorno di festa. Le donne, rimaste a casa, già di buon mattino, preparavano ogni ben di dio, salse e salsiccia, pasta e pasticcini, vino e allegria, e poi torta e cannoli, fichi e melone, con alla fine l’immancabile Cantata. Per i misterbianchesi questo “sontuoso banchetto”, per importanza, eguagliava o superava quelli di Natale e di Pasqua messi insieme!
Intanto, la festa e la villeggiatura, purtroppo, volgevano al termine.
Ma c’era ancora per i giovani (e non solo) l’appuntamento solenne della passeggiata serale tra le strade, i viòla, e i muretti attorno al Piano. Chi non ricorda la “propria” “ragazza del muretto”!? Il primo sguardo fugace, il primo batticuore, il primo amore di gioventù. Come scordarli!? Era la migliore gioventù del paese che si dava appuntamento tutt’intorno al Piano per intrecciare sguardi, amicizie, intese, speranze, illusioni, delusioni. Altro che Dante e Beatrice, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta! Altro che Laura, altro che Fiammetta! Non ricordo più i nomi, rivedo solo gli sguardi “che distribuivano a destra e a manca la tenera magia degli occhi”! E la vita sorrideva tra le penombre di quelle sere, passate sui muretti, tra profumi di càlia e simenza, palpiti di cuore e le occhiate indiscrete degli altri, e tutto si rivestiva d’incanto. Dove siete amori di gioventù!? Poi, tra le oscure trazzere di campagna, si ritornava a casa, felici e speranzosi, con infinite discussioni su ragazze bellissime e amori irraggiungibili, su indizi, promesse, sogni,… che duravano fino alla brezza dorata del lunedì mattino, quando ci si svegliava al rintocco della campana che prendeva la strada del ritorno al paese, tra viottoli e ulivi, nelle campagne di Serra.

Adesso tutto sembra un sogno, un lungo sogno, come la vita, come la giovinezza, come i primi amori, come la festa della Madonna degli Ammalati di una volta, in un tempo felice e incantato, in un tempo che è quasi mito, mirabile, irraggiungibile, difficile da raccontare e da comprendere, in un tempo che è quasi epica, nostalgia, “nostos e algos” allo stato puro, laggiù, in quei luoghi cari ai misterbianchesi, ‘a Madonna e’ Malati,… dove la speranza accendeva la vita e ardeva il cuore…

“Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo lo sai vola e lo stesso fiore che oggi sboccia domani appassirà”

Angelo Battiato

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